sabato 28 febbraio 2009

coast2coast

Muri di palazzi di una città che alla luce dei lampioni potrebbe essere una qualsiasi. Il collo alto del cappotto in lana blu spessa difende dal vento tagliente e asciutto più freddo di quanto mi sarei aspettato da una città marittima.
Scaricare la macchina è già un'impresa. Freddo lancinante e stanchezza accumulata da più di quattr'ore di viaggio immobilizzano le dita.

Salgo le scale a passi stanchi.
Secondo piano. Luce gialla sbiadita ed una saracinesca da gelateria che non ci si aspetterebbe al posto del portone di un palazzo.

Varcata la soglia un archetto ed un bancone color calce. Al di là di questi, due occhi grandi, molto molto più grandi del resto della corporatura dell'omino cui appartengono. Occhiali a fondo di bottiglia e pupille ingrandite al limite del ridicolo.
L'omino indossa una vestaglia di anni migliori, si erge mani in tasca con l'espressione di un padre svegliato nel cuore della notte per chiavi dimenticate o ubriacature troppo pesanti. Sguardo di rimprovero inadeguato per chi avrà soldi in cambio di un letto...

Ottenute le chiavi delle stanze resta da percorrere solo un corridoio privo di fasti, adornato soltanto di poltroncine in moquette verde lisa.
Saluto la compagnia di viaggio e apro la porta della stanza assegnatami. Devo dividerla con qualcuno di conosciuto ed avvisato ma impreparato ad un'improvvisata all'una e mezza.
La luce del corridoio invade la camera doppia.
L'odore di sigaretta e di umido della pensione è amplificato tra quelle pareti. Il mio compagno schiude occhi rossi e gonfi di stanchezza. Con comprensione e pazienza mi permette di accendere la luce.


Il tempo di arrivare al letto a posare la valigia che mi precipito a spegnerla... Spettacolo desolante le pareti ingiallite che fan da contraltare ad un pavimento polveroso. Nell'angolo buio, oltre un armadio in finto legno laccato plastica, una doccia con piastrelle cadute e una tenda dalle chiazze indefinibile.
A fianco il lavandino, alto quanto un orinale e d'aspetto parimenti disperato.
La prima immagine evocata nella mia mente è un'immagine del film di Bertolucci "The Dreamers". Soprattutto quando realizzo definitivamente la dislocazione del bagno: in fondo al corridoio a destra, in comune.
Fruirne è impresa doppiamente provante, per il freddo e per l'eco proveniente da chissà quale stanza di un russare roboante da mantice.

Rientro in stanza muovendomi nel buio per non disturbare. Arrivo al mio letto, il più lontano. Fletto le gambe, cede con facilità il materasso sotto al peso. Buio pesto. Le mie dita trovano la borsa, trovano la sedia, dispongono la stanza in una accessibilità di fortuna: Robinson Crusoe contemporaneo in una stanza d'altra epoca.
La sedia a fianco al letto è di ferro e plastica, come quelle da sala catechesi d'oratorio; sedia da elementari quasi, ricordo troppo inquietante per concentrarmici a lungo. Scacciato.

Infilo il pigiama con diffidenza: il pavimento, in quell'attimo di luce, era apparso d'un colore consumato, talmente consumato che necessariamente quel grigiore era più polvere che tempo passato.
Inevitabile in quest'odore acre e denso tenere indosso i calzini, lasciare quanta meno pelle possibile a contatto con quest'ambiente.

Mi stendo nel letto. Anche la rete non s'oppone al mio peso.
Letto a molle stanche, cedevoli, cigolanti. Rete distrutta e spalancata al peso maschile come le cosce di una femmina ormai adusa a simile accoglienza da anni di amplessi mal pagati. Letto ormai incapace di opporre resistenza a spinte di lombi frettolosi. Talmente sfiancato da farmi percepire il pavimento quasi a contatto con la mia schiena. Ho una posizione delle spalle innaturale per il mio stare supino. Stasi soffocante. Le spalle sono ruotate verso le clavicole, verso il mento. Il letto cede talmente tanto che il corpo è tutto al di sotto dei bordi in ferro del telaio della rete. Le spalle toccano il telaio e sono costrette a ruotare verso il corpo.


Scivolo tra le lenzuola ruvide di ripetuti lavaggi impegnandomi a minimizzare i cigolii. Trovata una posizione non scomoda chiudo bene gli occhi. Cerco di non pensare ad altro che al sonno senza lasciare che le risate di un'altra stanza o il russare di un'altra ancora permeino il mio stato.
Senza un perché accade.


A svegliarmi è il telefono del mio compagno d'avventura. Nel dormiveglia percepisco solo una domanda dalla retorica condivisibile e disarmante: "Vuoi essere al punto di ritrovo un'ora prima dell'orario previsto? Ma ti sei rincoglionito?". Parole sante...

Tuttavia, ormai la sveglia per lui è suonata. Si prepara ed esce. Ci troveremo poi.

Io mantengo gli occhi serrati e mi godo le due ore che mi spettano ancora da dormire.




La sveglia mi coglie preparato. Con calma ma celermente cerco di vestirmi. Solo dopo osservo la stanza irradiata da una luce pallida che filtra dalle persiane in legno del secolo scorso.

La fantasia di pietre rosa grigie e gialle è scolorita in un grigio polvere di consunzione e spazzata sommaria.
Osservo meglio il box doccia: mattonelle grigie staccate e tendina bluastra macchiata. Senza toccare chiaramente. Stessa curiosità per il lavandino altezza orinale. Mi chiedo se fruirne spregevolmente. Immaginando pensieri simili per le teste degli altri affittuari prima di me vado in fondo al corridoio. Anche il bagno puzza malvagiamente di fumo.

Ma il peggio è alla fine ed il solo pensiero è andar via e far colazione. L'ultima chicca è la richiesta di lasciare un recapito dove spedire prima o poi le fatture. Vinciamo la discussione facendo tornare il principale dallo sguardo di padre severo. Otteniamo le fatture e a mai più rivederci.

Colazione in un locale dal listino con nomi epici ed evocativi per marmellate e brioche. Le sedie sono in ferro battuto e legno laccato. L'incubo elementari sembra riproporsi. Ma ci sono modifiche artistiche: i gommoncini d'appoggio son raccordati alle zampe della sedia da molle. Massimo coefficiente d'attrito e minima stabilità soprastante garantiscono un agghiacciante effetto mareggiata. Simpatica l'idea delle sedie per mal di mare in una città portuale. Pessima la scelta di ubicarle in un locale frequentato all'ora di colazione.


Siamo all'inizio della giornata; la vera battaglia deve ancora iniziare... eppure sembra che il peggio sia già passato.

sabato 14 febbraio 2009

freschino

Sensazioni rare...
Il tepore di una cena tra amici fidati e buon vino. Sapori ed aromi miscelati e lana sulla pelle.

La perla a quel punto è uscire alle stelle e sentire il freddo sotto lo zero che sferza le gote con le sue carezze.
Sì, perché in questi giorni è arrivato il freddo. Pare strano infatti stando ai giornali: l'inverno dovrebbe non essere freddo, l'estate non dovrebbe essere calda; se accade il contrario che sian sdegno, stupore ed almeno tre colonne in merito!

Come potrebbe essere inverno se non fosse freddo???

Non era questo però l'obbiettivo del post. la meraviglia era nel dopocena, nel rientrare a casa a piedi. Scoprire che bastan pochi metri per trovare la sensazione della neve. Steli congelati che ad ogni passo scrocchiano e cedono al peso... stessa sensazione di decompressione soffice e salda da calpestio di nuvola.

Trovare una parentesi per ricordarsi lo stupore nel sentire la neve sotto i piedi è momento prezioso... uno dei pochi per me in questi giorni.
E' con questa sensazione di candore e con l'abbraccio del calore di una casa calda sul viso appena varcata la soglia.

E' grazie al freddo sul viso e nel corpo che ci si rende conto di essere vivi e di essere palpitanti... talvolta serve il gelo di una folata di tramontana che spazzi via tutto per ricordarci che siamo anime capaci di incredibile calore.

Buonanotte!

domenica 1 febbraio 2009

Radici

Da giorni vagano nella mia mente parole e tematiche. Ci sono davvero molte cose che mi frullano in mente! Però non ho mai l'ispirazione giusta né il tempo per cercarla. Ho dovuto riflettere su alcune dinamiche di coppia che fin'ora non avevo mai calcolato vivendo gli affetti in un solo modo... ho avuto da riflettere per la morte di Mino Reitano, per la tipologia di persona che rappresentava in un ambiente che così poco immagino accogliente con persone come lui lasciava trasparire di essere... ho riflettuto su dove sono e dove invece vorrei fortissimamente essere... ho riletto e sognato di approfondire alcuni aspetti della solitudine...

Di tutti questi pensieri nessuno ha fruttato una serie abbastanza logica di parole da poter venir raccontata qui.



Dopo tutta la lista della spesa veniamo al tema.

Da sempre ho creduto nel concetto cardine del "ricorda i posti e le storie a cui appartieni". In teoria quindi dovrei scrivere di altri tempi e luoghi che non quelli che seguono.
Ma queste canzoni le ho sentite da quando ero piccolo, perché propri delle persone che mi hanno allevato e circondato mentre crescevo.
Non solo: oggi grazie ai soliti filmati della Colò ero di nuovo a fantasticare di altrove bellissimi (per me) dove scappare, dove andare a tirare un sospiro di vita lontana per perdersi un attimo in tutto quello che sto trascurando del mio spirito pur di andarmene.

Con lo spirito di cittadino del mondo, con la voglia di tenere con me quello che mi ha formato, quello che mi bisbiglia ricordi felici, con un po' di critica alla comicità moderna, anche... presento a voi tutti un po' di radici.


vi consiglio un volume abbastanza consistente, perché l'audio mi è parso bassino...

Quello che vi propongo oggi è una piccola parte di una Milano d'altri tempi (storici e comici) davvero florida. Tempi in cui era una fucina di talenti autentici, capaci nel tempo di rinnovarsi con caparbietà.
I gufi hanno accompagnato serate accanto a un fuoco tra castagne e risate (alcool per gli adulti), dopocena in un salotto sopraelevato carico di calore umano... ricordi... Ricordi anche di una Milano più recente, ricolma di sguardi sorrisi birra e fumetti! Impreziosita da palloncini potenti, contratti commerciali sagaci e impertinenti (ma quel cappello vale!!!) e da un cantare alticci per le strade le canzoni di quella città.

Milano: la città che ho sempre temuto più di tutte.
Milano: la città che mi ha regalato l'onore di conoscere alcune sue correnti peculiari e taciute che le conferiscono un certo fascino; un che di amabile e vivibile.



perché in ogni luogo lasciamo una traccia, seppur minima, di noi; perché ogni luogo lascia una traccia, seppur minima, in noi.



(parentesi critica)
Attualmente in chiave comica. Sia perché di schegge di me sofferente e tetro ne avete avute già, sia perché oggigiorno di risate simili ne riesco a fare davvero poche.
Ormai il "tormentone" è il solo canone comico conosciuto, personaggi ripetitivi e reiterati fino alla combustione totale per intollerabilità al pubblico; comici dalla carriera lampo (sia in ascesa che scomparsa) che ormai non posso più trovare divertenti.

Fino a una decina d'anni fa Zelig era ancora un programma di comici variegati: stili e origini diverse in un calderone scoppiettante. I Gialappi furoreggiavano sfruttando alcuni tormentoni, però ben rinnovati, e situazioni contestuali della settimana da deridere.
Ancora ridevo...
Ormai Zelig propone una comicità davvero originale e godibile solo per caso. I Gialappi credo paghino perché si continui a proporre grandifratelli sempre più pantomimici così da fornire loro materiale umano utilissimo; ormai solo su quello o su tormentoni necessari più che geniali fondano i loro programmi.