lunedì 25 luglio 2011

novelties

Sensazioni, quasi emozioni.
Queste le cose a cui sono andato in contro e tutt'ora vado durante il recupero della mano. Mano di cristallo, svuotato l'osso del midollo né ancora del tutto stabile la frattura. Mano dolente che il chiodo era avvitato e hanno dovuto martellare a più riprese per estrarlo. Mano da oltre due mesi inviluppata in una trappola desensoriale.
Tutto nel mio quotidiano è stato una riscoperta, una novità del qualunque, in questa settimana: la prima sensazione straordinaria è stato il calore del volante al sole contro al palmo della mano. Era davvero così percepire il tepore? un brivido che distende ogni fibra e si espande pian piano, risale fino alla spalla. Dolce scivolare, ricorda la primissima carezza ricevuta da una ragazza. Suggestione che scuote lo stomaco e il petto.
Poi è stata la volta dell'acqua. In forma di doccia o solo di sciacquata sotto un getto veloce, ogni volta è un contatto sublime.
Il flusso avvolge completamente ogni millimetro e poi scappa via. Lambisce porzioni di mano di cui il gesso aveva cancellato la memoria. I rivoli sorprendono ogni volta cambiando percorso all'ultimo, imprevedibili, raccontano storie sempre nuove alla mia pelle e starei ore ad ascoltarli.

Scrivere su carta è ancora impresa ardua perché la muscolatura è ben lungi dal recupero pieno, dalla scorrevolezza, dalla sicurezza del moto. Arriverà.

Oggi è solo emozione tattile di riscoperte e nuove lezioni. Le interazioni della mia mano destra non sono più solo tentativi di recupero ma sono autentiche rivoluzioni interiori come un bambino che gattonando esplora l'universo alla sua portata.
Mi ritengo fortunato non solo di riavere l'uso pieno di entrambe le mani, ma di avere una mano capace in questi giorni di apprezzare la consistenza, la ruvidità anche minima, i tentennamenti che ogni oggetto o persona possiedono.
Debole e fragile perlustra il mondo a sua disposizione e me lo narra con occhi di cui non avevo memoria: gli occhi del buio.

mercoledì 20 luglio 2011

un po' di buonumore alla faccia de chi ce vo male

Grazie, no.

Sarebbe una maschera. Non necessito, tanto chi ce vò male ha rivelato la sua iniqua essenza nell'istante in cui ha preso ad augurarcelo.

Mi basta alzar il calice a me stesso per deridere chi mi vuol male.






nuova filosofia: il solo fatto che io esista è sufficiente ad eclissare talune persone, come il sole brucia gli sterpi e costringe sotto le pietre le serpi.

Ad Angie.

martedì 19 luglio 2011

poema piccolo

Doccia a dieci dita
tutta un'altra vita!

giovedì 14 luglio 2011

ricominciare

La fisioterapia è sempre un gran confronto con sé stessi.
Si tratta di riscoprire, meglio, imparare di nuovo che già si sa. Ora, reimparare a camminare, correre, saltare è già complesso ma una parte di tal movimento è di controllo subcosciente, non volontario. Come dire "prima di lasciare che ci sfracelliamo al suolo il cervello cerca di metterci una pezza".
I gesti della mano dominante sono un altra cosa: qualunque riflesso scatto o impeto si effettua con essa.
Due mesi e chissà quanto di mano destra immobile hanno portato nuove lezioni e nuove frustrazioni.
Sto scrivendo su carta in questo istante. Penso parole, gesti, forme che si imprimono nere e vivide sul fondo candido appena organizzato in quadretti sbiaditi.
Niente è come pensato:il risultato grafico e motorio è ben lungi dal ricordo che avevo del mio scrivere.
Il polso non accompagna , la mano non scorre. E' tutto un lavoro di dita, anch'esse fuori tempo, e di spazio. So scrivere e giocare con le parole ma il mio corpo non si ricorda più come farlo. Gli anni spesi ad affinare i gesti nel tentativo di dare alle parole che fluivano dalla mia anima un aspetto che si canfacesse alle aspettative ed ai sentimnti che vi profondevo sembrano di colpo dissolti.
Organizzare i pensieri in vista di un esame sembra oggi impresa epica: anche una sottolineatura o una freccia richiedono sforzo e concentrazione.
Prendo appena oggi coscienza delle difficoltà a cui realisticamente andrò in contro.Anche se può non sembrare, non saper più compiere i gesti che si compiva poco prima, trovarcisi faccia a faccia concretamente e non col solo immaginario è davvero arduo.
Mi ritengo già così fortunato a riuscire almeno a produrre simboli comprensibili con una fluidità di qualche tipo...
Ogni attività sarà una sfida. L'aspetto meno affascinante è che sono montagne già scalate. La sfida tuttavia sarà tornare a dove ero e non un miglioramento. E' importante non darsi per vinti e lasciarsi logorare dalla fretta o la mancanza di risultati evidenti.
Sarà un lungo cammino; sulle mani.

giovedì 7 luglio 2011

al volo

Sopravvivo ai giorni. Sopravvissuto più che altro.
Ancora la sensazione che la vita sfugga via come un refolo di vento tra le dita passa vortica e sfiorisce, abbandona.

Devo coglier l'attimo, afferrare la vita e riprendere tutto quello che ho lasciato lungo la via, sfuggito alla presa per un abbaglio.

Devo riafferrare il tutto. Dovrò reimparare a tenere stretti i pugni: ben alta la guardia ben salda la presa e stavolta voglio che sia davvero. Una volta che avrò i miei sogni in pugno non mollerò la presa fin'oltre a che mi sanguineranno le dita. Non lascerò che l'oblio provi ancora ad inghiottirmi, mi arrampicherò fino alla vetta, a costo della mia vita.

mercoledì 6 luglio 2011

coscienza preconoscente

Si tratta di quelle cose che inspiegabilmente si sanno prima di averle studiate, conosciute, affrontate. In molti casi, come per gli animali ad esempio, si riduce e ricollega all'istinto: il puledro che sa già alzarsi in piedi e suggere da neonato, alcune attività di caccia di base in alcuni predatori, alcune fobie.

esistono poi erò altre cose che si conoscono e percepiscono prima che se ne abbia conoscenza razionale: sentimenti, motivazioni, obiettivi... talvolta persone.
Nel mio caso è una canzone, per certo. Ogni volta mi commuove se la penso nel buio della stanza, da sotto le coltri. Mi fa sentire triste, nostalgico ma contemporaneamente al sicuro. E' un incanto. Non saprei come altro descrivere questa sensazione.

La cosa più stupefacente è che è una canzone che di norma non ascolto e non ho mai ascoltato. La prima volta che ho messo il disco su, scelto bene il solco tracciato nel vinile, è partito il riff di chitarra ed io già lo anticipavo: ne conoscevo l'andamento e le note, gli stridori e poi il testo lo conoscevo già abbastanza bene da poterla cantare.

Ne avevo già coscienza ma ancora non ne avevo fatto conoscenza. Almeno non prima della nascita. Come facevo a conoscerla? Era la canzone che suonava nel giradischi di casa mentre mia madre era incinta di me. Così il suono della chitarra riverberava nel liquido amniotico e mi nutriva i pensieri e la memoria prima ancora che fossi al mondo.

Siamo più permeabili al mondo di quanto mai ammetteremmo. Dovremmo ascoltare il vento più spesso per scoprire che quella brezza è gia parte di noi.

Un sorriso cullato tra le braccia. Ho un ricordo di prima che nascessi. Grazie madre.

lunedì 4 luglio 2011

( sentirsi idioti )

Talvolta è molto facile. Nel mio caso c'è voluto un po'.
Ho fatto male ad alcune persone e ne ho subito da altre. Per ricordarmi chi io sia è servita un'estranea sentita per un attimo molto vicina per un frammento vissuto molto simile a quanto patii io col gattino un anno e mezzo fa.

Ripensare alle cose brutte è difficile, specie se è associato a fallimenti o momenti analoghi. Però "è dalle situazioni spiacevoli che si impara di più" ed è decisamente vero.
Ho sempre avuto alcune risposte, ma le avevo scordate recentemente.

E' sempre saggio vivere le cose, perché ci sarà sempre una lezione, perché almeno ci sarà qualcosa da ricordare e una storia da raccontare. E' esperienza, è crescere.

La vita, le scelte fatte, chi sono io, non devono essere messe in discussione. Non intendo l'inamovibile presunzione di essere perfetto, intendo che nel bene e nel male ciò che sono è il frutto di trent'anni di avvenimenti ed esperienze. E' fondamentale mettersi in discussione, ma è sbagliato farsi scuotere da inezie o parentesi o dar loro in generale troppo peso.

Dovrei ricordarmi più spesso di quegli occhietti trasaliti in cui di colpo è tornata la vita. Dovrei vivere sempre portando nel cuore in bella vista cosa siano la vita e la morte. Ho avuto la fortuna, se così si può dire, di trovarmi coinvolto in situazioni dove queste due facce della medaglia erano là in prima persona. Non mi paragonerei a una persona in una guerra, o un rianimatore, ma credo di aver toccato queste cose un po' più della gente comune.

Se la morte è una spada di Damocle perennemente sulle nostre teste, sempre pronta a tirare la beffa, la vita è qualcosa di assoluto: la forza con cui esplose quel miagolio non è definibile, sembrava una eco proveniente da chissà dove; non era flebile, non era progressiva, era tutto e in un istante, un ruggito, una esplosione.
L'energia racchiusa negli esseri viventi va oltre l'immaginabile. Averne intravisto la potenzialità non serve a sentirsi avvantaggiati o migliori. La sola cosa a cui potrebbe servire, sarebbe rendersi conto del giusto peso delle cose. Se a trent'anni sono riuscito a percepire la vita, allora tutte le scelte non erano poi così sbagliate, tutto quello che ho dentro non è poi così discutibile.


Sto sempre a compiangermi, ma non è così che si può fronteggiare il mondo. Permettere che ci facciano chinare il capo è imperdonabile. Io tendo a concedere questa possibilità a troppe persone. Fa parte di me e probabilmente non smetterò di farlo, ma assolutamente mi sento un idiota di prima categoria. Perché sminuire chi è meglio di noi o chi non siamo in grado di capire un modo di tutela del sé, lo so bene. Ho impiegato anni per imparare ad ammettere le mie invidie. Dovrei ricordare che c'è chi non lo sa fare, che c'è chi anziché sentirsi motivato da persone che possono arricchirlo scappa o distrugge. Permetterlo è da stupidi, è stupido regredire, è da idioti farlo e mostrarlo a chi ci conosce meglio: li ferisce.

Grazie. Grazie di cuore a tutte le persone che negli anni hanno provato e proveranno ad affossarmi, a svilirmi, a farmi sentire un cretino. Perché sono il primo a sentircisi, sono un fallito ed un inconcludente, perdo di mordente e tendo a vedere le cose come disfattista e rinunciatario. Criticarmi non fa che rendermi più triste e di conseguenza a farmi crescere, a far crescere quel poco di buono che ho in me, come il senso del valore della vita.
Grazie, perché ogni volta che riesco a ricordarmene, a guardare al lato minuto di me non tinto di melma color della pece, mi sento un po' meglio perché vedo le cose da un altro punto di vista. Vi osservo per la vostra vera rilevanza. Grazie.

sabato 2 luglio 2011

antium

Trascrivo uno stralcio d'una conversazione. Un ricordo di cos'era il luogo dove sono cresciuto. Credo di averne già parlato per cui vi sembrerà un po' nenioso. Ma credo anche d'aver aggiunto qualche elemento in più. Forse si sente l'influenza di Baricco, ma nonostante Oceanomare mi abbia fortemente colpito, queste sensazioni erano in me sin da piccolo quando ancora lui doveva immaginare di scriverle. Coincidenze. Forse è solo il mare a raccontarsi così ad alcuni di noi.



- paese natio, parte seconda:
Come ti dicevo, casermoni tutti uguali i palazzi, quadrati, grigi, diroccati. Le persone similmente hanno spesso l'animo un po' così, fatiscente e rassegnato. Adeguarsi, perdersi nel flusso della vita, a 18 anni a me sembrava assurdo mentre per quel posto era normale, il massimo dell'ambizione. Se nel tempo ho imparato la grandiosità del saper essere normali, l'accontentarsi l'ho capito davvero poco: preferisco soffrire, patire e provarci anche oltre il limite piuttosto che prendere situazioni di comodo che mi facciano passare senza intoppi i giorni fino a che svanirò. Sarà un'ambizione da poco, ma volere una vita come la vorrei e lottare per averla mi sembra importante.
... il paesino, già! beh, si sviluppa in orizzontale, lungo la costa. D'estate raccoglie folle presuntuose della grande città ma burini senza pari nell'essenza. D'inverno è la desolazione ti case vuote e cieli grigi; la maggior parte delle persone ha il color del cielo. Certo, qualcuno di simile ho avuto il privilegio di scoprirlo e conoscerlo, ma eravamo scampoli di lavorazione.

Però c'è il mare. Il mare d'autunno: distesa mai uguale che si tinge del cielo fino all'orizzonte, si fonde con esso. E' come se avessi poco oltre la battigia un cielo liquido e consistente che oscilla e roboa dinanzi a te. E' un colore profondo ed insondabile, anche: i riflessi a specchio delle giornate senza sole rendono il mare senza fondo, come se potesse inghiottirti nell'infinito, nel tutto, nel nulla...
Era ed è il luogo dei sogni e della disperazione. Quando tutto sembrava finito là, al paesino, ai confini troppo stretti per speranze da mulini a vento e draghi, andare al mare era liberatorio. Anzitutto le lacrime rispetto alla vastità del mare eran poca cosa, insignificanti, e ti rendevi conto della tua reale, minuscola dimensione. Poi il mare, così sconfinato era come la soglia al di là della quale si poteva trovare il tutto. Quasi che dietro la linea dell'orizzonte ci fossero tutte le possibilità di una vita. Così i sogni potevano cavalcare quelle onde e perdersi là dove avrebbero potuto trovare coronamento o almeno sfide alla loro altezza.

C'era il mare, tutto sembrava ancora possibile. C'era il mare e sono riuscito a non smettere di sognare.

Mi manca tanto il mare. -