Tetti ripidi color rosso intenso. Mura svettanti dalle tinte crema. Nemmeno un'ora prima dal finestrino di quel treno si vedeva l'eco delle onde increspate di luce. La sera scende sul mare mentre il treno scorre tra spighe e alberi da poco fioriti.
L'Urbe (auguri!!!) si riconosce dalla vista del G.R.A. sotto le rotaie, quindi caseggiati; il Tevere, i graffiti, le "scuderie" per i cavalli tiratori delle botticelle... qualche galleria che pare interminabile e poi lo stupore del Cupolone.
Tornare a Roma in treno riempie sempre gli occhi di novità e sensazioni, ed è facile la mente si perda a rincorrere pensieri.
Capitano però situazioni inaspettate, immagini che scuotono quel tanto che basta perché non se ne vadano.
Le stazioni sono storicamente un luogo di romanticismo e drammaticità da cinematografo. Memorabili addii e frasi ormai storiche.
Perché allora ho ancora negli occhi l'immagine di quella ragazza sulla banchina accanto con gli zigomi protesi in basso come gli angoli della bocca e gli occhi gonfi di lacrime?
Il pianto di una donna è qualcosa che si ripercuote in me con potente stridore. Quell'espressione tenera e disperata che ondeggiava in un andirivieni incerto lungo il binario davanti allo sfondo di Roma al tramonto strideva terribilmente: "SKREEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!"
Più che la curiosità del perché, la tentazione era di placare quell'espressione dolorosa. Non avrei certo preteso di consolare quegli occhi o risolverne il problema, ma strappare un sorriso, quello sì. Le lacrime sotto al tramonto di una sera di primavera sono un'antitesi eccessiva per risultare piacevole.
Avrei voluto abbassare il finestrino, o bussare per attirare l'attenzione. Mi sono accorto di non essere un improvvisatore mimico bravo quanto avrei voluto essere. Come far esplodere un sorriso fresco come la finestra che si spalanca al mattino e sereno come un sospiro profondo senza poter parlare e con solo pochi secondi a disposizione?
Non ho trovato risposta. Ho continuato a lasciare che quelle smorfie di cuore che s'infrange trafiggessero i miei pensieri.
Mentre il treno iniziava ad arrancare verso una nuova sosta nella mia mente si affacciava un'immagine nitida. Ho compreso la grande genialità di vecchi film dove la delicatezza e la comicità trovavano una perfetta, silenziosa intesa.
Non so se avrebbe capito, non so se gli auricolari dello stereo avrebbero avuto lo stesso impatto di due panini inforchettati. So che nella mia mente ho ringraziato Charles Chaplin ed ho rimpianto di non aver pensato subito a quel passo de "La febbre dell'oro".
Ovunque ella sia, le auguro finalmente quel sorriso che avrei voluto regalarle per godere del sole ed il cielo.
La grande genialità sta nel saper raccontare un'emozione senza bisogno di parole. Come una musica, come una danza, come il mondo...
mercoledì 21 aprile 2010
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1 commento:
bello! sia i guns che chaplin. Saresti stato in grado di rifare in un istante la danza dei panini? Secondo me se avessi attirato la sua attenzione in qlc modo e le avessi fatto una facci abuffa, magari per un mmento avrebbe sorriso! kmq alle volte le lacrime fanno bene.
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