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martedì 12 febbraio 2013

luoghi dell'anima

Vorrei un Dojo o un basso ove obliarmi un po'.

Capitano a tutti momenti difficili. Immersione totale in flusso di coscienza, autoconoscienza, sostanzialmente critica e revisione. Sbagliare è umano, confrontarsi con l'errore è doveroso quanto fare ammenda. Ancora più importante è cercare di imparare qualcosa e dare così un senso a quell'errore.
Ricordarsi di non dare mai niente per scontato è una pratica molto più dura di quanto non si tenda ad immaginare.

In questi momenti, quando cioé il senso di colpa e di inadeguatezza presentano il conto e la sola cosa che si sa fare prima di reagire è riguardare il film dieci cento mille volte al rallentatore, vorrei qualcosa in cui perdermi. Personalmente sono per le attività prettamente pratiche, manuali, istintuali.
Tralasciamo per un attimo la ragione neuroscientifica di operatività ipotalamica per permettere al telencefalo di rielaborare la memoria e pensiamo in semplice alle istintualità: lasciarmi scivolare, ecco di cosa avrei bisogno. Giù! via! in una corsa a perdi fiato, in una serie di note, in un susseguirsi di calci e pugni, dati, presi, scagliati senza pensare pur di ritrovarsi sfiniti.

Ecco, in quello sfinirmi trovo il tempo di rimuginare, di darmi tempo. Solo il suono del respiro, solo l'ansito dei muscoli, solo il flebile bisbigliare del pensiero, il resto è una stanza tutta mia, nella testa, dove posso fronteggiarmi. Poco importa credo se siano sputi in faccia o pacche sulle spalle, conta trovare il tempo di entrarci in quel luogo. La cosa peggiore del lavorare e del non essere del tutto soli ed indipendenti è che spesso questo tempo non si trova. Male. Si finisce per vagare tra la vita.

Questo forse non è una vera stanza per l'anima, visto che sì, in fondo rielaboro la mia vita, ma no, non riesco davvero a dimenticarmi e sfinirmi scrivendo. Magari è giusto un corridoio, eppure ora sono così contento di percorrerlo.

martedì 1 gennaio 2013

daccapo

passa il tempo, inizia un nuovo anno

è tempo di andare avanti con decisione



(Paid in full - Sonata Arctica; testi e musiche di loro proprietà ^_-)




Talvolta la miglior sensazione da cui ci si possa sentir permeati è il senso di rinnovamento, di nuove ricerche e stimoli, che si accompagna alla percezione di aver saldato col passato. Arrivederci e grazie. Abbandonarsi al sentirsi Ispirati.

mercoledì 11 aprile 2012

gocce

E' molto che trattengo parole da scrivere. Il tempo latita seppur non faccia poi gran che nell'arco della giornata. Non sembra così almeno.



Periodicamente nella vita di tutti si deve affrontare una perdita. Talvolta in prima persona, talaltra tocca a una persona vicina a noi.
Non è mai facile.
Resto convinto parole adatte non esistano. Forse per una banale autocoscienza la quale sa mettermi bene in guardia dalle scialbe e scontate frasi in cui scadrei.
Trovo a malapena sostenibili le solite frasi di circostanza, intrise di buonismi e comprensione dilatata. E' reazione allergica epidermica invece per le spiegazioni di chi sembra sapere tutto e voglia infonderti la "giusta" conoscenza. Una sicumera che quasi ti violenta. Nessuno è in grado di capire completamente le emozioni di un altro. Può al più intuirle grazie a esperienze personali ed affinità d'anima. Insegnare i sentimenti e le soluzioni a qualcuno che non siamo noi stessi è pura fantasia, come un libro ambientato tra terre incantate e armi fatate.

Un vuoto è qualcosa di incolmabile alla fin fine. Quando si sente dire "passerà" non ci si deve far fuorviare dal tono che sembra volerci rassicurare che tutto sarà dimenticato, che la ferita si sanerà riportando tutto esattamente a come era. No, manco per il cazzo.
Quel vuoto non ci abbandonerà più.
"Passerà" significa soltanto che prima o poi, per un tempo diverso da ognuno, riusciremo a conviverci. Io personalmente cerco sempre di spronarmi a imparare qualcosa, voler trovare un qualche lascito positivo da portare con me. Mi fa sentire ricolmo di esperienze, come se una vita in più scorresse in me, anche se solo nella quantità d'una scintilla: se siamo la nostra esperienza allora siamo principalmente costituiti di vissuto e vite intrecciate...
Magari mi rendo solo più semplice la convivenza.
Perché quella morsa che ti avvinghia le viscere poco sotto lo sterno, come se la volta dello stomaco venisse insufflata prepotentemente andando a forzare sul diaframma e spingendo in alto l'aria dai polmoni, che viene a mancare, ogni cosa mangiata, il cuore, le ossa... quella fitta che fa deflagrare qualcosa in noi come fosse vapore a pressione che sale veloce alla mente, ci offusca, e condensando lì trovi sbocco dagli occhi, beh! non ci lascia. Resta in agguato e senza preavviso o inviti certi giorni ritorna.

Non passerà mai un bel niente. Anche quando sembrerà essere estate e si sarà riscoperto il sorriso una burrasca, un temporale, saranno sempre dietro alla più innocua delle nuvole.
Talvolta una delle difficoltà maggiori da accettare è proprio che la vita vada avanti. La routine e l'ordinario non si fermano. Perché siamo infinitesimi. L'egocentrismo e la dominazione sulla madre terra ci fanno sentire incredibilmente possenti, ma nella globalità siamo alla stregua di formiche e steli d'erba. La vita va avanti. Accettarlo e prenderne parte nonostante tutto è sottoinsieme di quel "passerà" che tanto mi indispone.

Il vuoto resta, è parte di noi. Lo diviene! ed è forse molto sciocco nascondere le lacrime o trattenerle. Fintanto che si ha la capacità di piangere qualcuno si è ancora Vivi. E' la vita la vera prova in cui cimentarsi e vivere non è sinonimo di scordare. Così come ricordare non è perdersi nel riflesso di una luce. Vivere portandosi dentro anche quella scintilla e poi ricordare tutto il buono, come si continuasse a condividere. Fin che sappiamo piangere qualcuno siamo in vita anche per gli altri.

giovedì 8 luglio 2010

To Bibi

Da anni, pochi in realtà, cinque o sei, ma tanti ormai che non so contarli né percepirli la sola presenza fissa, costante, profonda nella mia vita è un solo essere vivente soltanto.

Ci siamo raccontati, ci siamo percorsi in ogni singola sinuosità, ci siamo compresi. Senza parole.
Beatrix è la mia gatta. Per molti un gatto è un animale infido e solitario. Per me è un mammifero dotato di grande orgoglio e autonomia, proprio come una persona. Forse è questo il motivo per cui tanti hanno difficoltà a relazionarsi ai felidi: non sanno nemmeno relazionarsi alle persone!!!
Talvolta addirittura è stata molto meglio di tante frequentazioni e conoscenze.

Non ho mai ringraziato Bea per tutti questi giorni assieme. Voglio farlo stasera in cui la sola a cui confiderei certe lacrime sarebbe lei.



Da tempo avevo questa canzone in mente. L'avevo già postata parlando dell'amore. Credo qualcosa voglia pur dire e credo anche sia possibile sia proprio una forma d'amore.

Bea è stata al mio fianco sempre in questi ultimi anni: malumori, giochi, fallimenti, sogni, orgasmi, pianti, litigate... Sempre. Prendendo sgridate anche quando il danno prodotto era solo per distrarmi da quel "chiodo fisso" che mi rodeva il fegato. Ascoltando confidenze comprese tramite pelle e strofinamenti e non a parole.

Ho imparato tantissimo dalla mia vita con un gatto. Se oggi riesco ancora a trovare la voglia di guardare al mondo con curiosità è perché anche quando me ne stancavo c'era Bea a mostrarmi il calore del sole, l'aspetto ludico di una zanzara, a scaldarmi le spalle col freddo a darmi affetto e complicità quando mi sentivo in volo libero in un baratro.

Bea ha condiviso con me la sua vita e la sta condividendo ancora. Averla a fianco la sera quando varco la soglia di casa è una consapevolezza che mi fa tornare a sorridere anche quando non me la sentirei ed anche se è soltanto un gatto è la femmina più meravigliosa che mi abbia mai atteso e coccolato, perché mi ha donato quanto di più prezioso al mondo: la sua esistenza, scegliendo di dividerla con me.

Grazie Bea.

domenica 28 marzo 2010

intellegibilità

Buonanotte schermo.
Talvolta la cosa più difficile da fare è rendersi comprensibili. Ci si può affannare in ogni cosa per farla al meglio, ci si può altrettanto impegnare con le persone. Ma se non ci si rende comprensibili è tutto inutile.

Quanto sarebbe più facile nelle cose importanti poter far leggere direttamente le intenzioni? Oltre le parole, oltre i fraintendimenti, si saprebbe già se fidarsi o meno, se le cose dette volevano ferire davvero o solo sdrammatizzare.

Un tempo mi coprivo di borchie. Era così semplice che chi davvero contava per te capisse: aveva già varcato le prime corazze. Ma il tempo passa, il metallo va nei cassetti e non ti resta che te stesso cui affidarti. Scoprirti ben diverso dal metallo di quelle punte a far danni quando vorresti solo stringere forte a te qualcuno è poco gratificante.
Nemmeno si può confortarsi accusando il circostante. Le scelte proprie è bene che ricadano per le loro colpe solo su chi le ha prese e se non si sa più concedersi agli altri è bene correre ai ripari sperando solo di trovare, quando avrai imparato a comunicare di nuovo, le stesse persone ancora disposte ad ascoltare.



sabato 16 gennaio 2010

ironie

Il blog è andato lungamente in pausa.
Obbligo.
Nella vita talvolta ti capitano cose che ti stravolgono non poco le prospettive e allora anche se vorresti subito raccontare le emozioni che ti palpitano dentro devi aspettare, lasciare che maturino intanto che ne consideri gli aspetti via via che elabori le cose.

La vita è ironica, lo dico da tempo. Solo che talvolta il suo modo beffardo di ricordarti come funziona è irritante.

Sono finite le feste di natale, io ho ricevuto come regalo più bello il senso della vita.
Il ritorno alla vita cui si assiste quando si rianima un essere vivente è qualcosa di mal descrivibile per quanto è intenso. Tenere tra le dita un corpo minuscolo e gelido e immobile è disarmante, specie quando la tua sbadataggine ha un coinvolgimento in quel gattino annegato. La rianimazione è qualcosa invece che prescinde dalla comprensione persino delle mie azioni.
La scelta tra non provarci nemmeno e sperare è stata di per sé enorme; affrontare poi i primi istanti in cui il solo segno di vita è la più esaustiva spiegazione di "agonia" che abbia mai conosciuto è scoraggiante.
Oscillavo dall'osservazione della morte a quella della vita che finisce ad ogni secondo. Il mio agire scorreva lento nella concitazione degli avvenimenti che precipitavano. Le dita comprimevano un manichino dalle sembianze feline che per temperatura e consistenza non era poi così dissimile da una fetta di petto di pollo tirata fuori dal frigorifero. Ogni gesto si è svolto senza grande consapevolezza, era solo il ripetere quanto appreso poco tempo prima in una sessione di addestramento anestesiologico, solo che qui veniva fatto trattenendo le lacrime e rimandando in gola i continui conati di vomito che cercavano di salire a gridare tutta la desolazione e il senso di colpa che non avevo il coraggio di urlare.

Poi di colpo è sopraggiunto un battito cardiaco, poi un altro... ed un respiro.
Il resto della dedizione è stato per scaldare quel corpicino gelido.

L'immagine che a lungo porterò negli occhi è quella di due occhi fissi, spalancati, sbarrati, quasi due pozzi torbidi da cui guardare l'oblio, che si restringono di colpo mentre quell'ammasso di pelo umido grigio giornale bagnato (il mantello è bianco pezzato nero, ma il rosa della pelle senza sangue a portare ossigeno tendeva a un grigio simile) prende un respiro enorme e buttando fuori l'aria, di schianto, urla in un miagolio tutta la sua vita.
Parlare di miracolo non mi sembra adatto a una persona che cerca nella scienza qualche spiegazione plausibile di questo e di ogni altroquando. Non mi sembra adatto nonostante mi abbia direttamente coinvolto (il che in effetti HA del miracoloso). Se la vita ha prevalso ci sono delle ragioni spiegabili e motivabili.

Quello però che ho compreso è che per quanto abbia creduto e creda ancora nella vita, non avevo minimamente intuito di quale potenza e forza essa disponga. Ho sottovalutato la vita. Decisamente.

La vita è un'energia così potente da poter contrastare la sua stessa fine, è una scintilla che divampa nel buio oltre l'immaginabile. Non so se avrei mai compreso quanta forza vi risieda se non l'avessi vissuto.

Quella notte non ho pianto quanto mi sarei sentito né di disperazione né di gioia, ma ogni fibra di me ha vibrato di inquietudine e tepore fino alla notte seguente. La vita che ho conosciuto quella notte trascende ogni sentimento, ogni implicazione, come una nascita: ti disarma e fa sentire minuscolo, perché risiede anche dove * non oseremmo sospettare.



...
Il gattino è stato abbandonato nei giorni freddissimi che hanno preceduto il natale del 2009. Non avendo cuore di lasciarlo al gelo ho voluto provare a farlo accettare dai miei gatti. Per colpa della mia enorme stupidità ha rischiato di morire in maniera orrenda la notte di natale.
Ora, che sta finalmente bene ed è un micio abbastanza in forze da affrontare il mondo ed essere mescolato agli altri gatti, è arrivato il responso delle analisi: è e sarà quantomeno portatore di una malattia che lo espone alla possibilità di morire in maniera repentina e dolorosa se andrà male, mentre se andrà bene sarà comunque un animale cagionevole e da tenere sotto controllo. Nota non da poco, questa malattia potrebbe aver già contagiato tutti gli altri gatti a cui ho tentato di aggiungerlo.

Nel tentativo plurimo di salvare una vita, rischio di perderne cinque. Questa è la vita, questa è la medicina per chi antepone i sentimenti e i sogni alla realtà. E' il suo bello in fondo e non sarebbe così interessante vivere se non fosse per questo ottovolante di emozioni *.
La merda è che in sere come questa fa proprio male.

martedì 8 dicembre 2009

nebbia negli occhi

Sale la nebbia, sale nei miei occhi


... é un passo di una delle canzoni del periodo più felice della mia vita. La suonavamo e cantavamo col mio chitarrista. Credo renda come nessun'altra alcune sensazioni e pensieri che condividevamo: le notti al lume di una lampada puntata su una scrivania o verso il pavimento... un angolo nel buio da cui intravedere sogni e fallimenti... una persona accanto senza capire come potesse ricambiare... ed una finestra da cui il mondo oltre il vetro è un quadro sfumato e impreziosito dalla bruma.

Il senso di vuoto, la sensazione di aver tutto condividendolo.





Il futuro era alle porte, un tuffo nell'ignoto dei sogni era la sola prospettiva, il portone che stavamo per spalancare. Amavamo i loro sorrisi assopiti. La pioggia nitida alla luce gialla dei lampioni era un incanto. Era voglia di raccontarsi; eravamo incertezza.

Ma le note... quelle riuscivano a parlare per noi. Di noi.
Buffo come le note di una canzone altrui dica di qualcuno che la interpreta. Il volume dell'amplificatore, il modo di premere una corda, il suono che si cerca, il sorriso che si ha durante... sono uno specchio d'acqua increspato dal vento. Se ci guardi dentro puoi vedere la luna. Se lo ascolti senti la voce di un'anima.

Questo eravamo, e siamo. Saremo.

martedì 1 dicembre 2009

pensierino

Certi giorni non vorresti far altro che una doccia al buio per poter piangere fin che ne hai bisogno.

martedì 20 ottobre 2009

desideri

Oggi ho un desiderio nelle dita.
Non è ben identificabile ma le permea, le fa fremere. Sensazione pruriginosa di attività da svolgere per necessità.
Sia produrre suoni o impugnare una penna o digitare tasti il pomeriggio è trascorso nell'impellenza di schiudere qualche petalo di corazza e far fuoriuscire i pensieri.

Non è necessità di comunicare ma voglia di filtrare. Sono in caccia di un argomento, di una nuvola, una stella, una tegola su cui frullano delle ali per posarsi...

A volte la capacità di guardarsi dentro è un'arma drammatica. "Se guardi nel buio, il buio guarda in te" e il colore dominante nella mia anima è quello proprio delle tenebre. I pensieri fuggono al controllo e vagano. Un gorgo fangoso erompe dagli argini dell'autocontrollo. Si spande.
Lacrime inespresse increspano il mio placido lago di routine giornaliera.
Non necessariamente il buio in me è da intendersi con accezione negativa poiché sostanzialmente è un motore. E' una pulsione intensa che spinge nelle vene il mondo sotto forma di note o inchiostro e mi trovo senza voce con la gola ricolma di grida.


Voluttuosa e ispirata, dannatamente capricciosa. Così vaga l'ispirazione oggi. Ascolto una canzone trovata sul tubo girando.

Poche righe del testo condivido, aborro il ritornello per me poco in linea col contesto delle parole e di minor impatto rispetto a strofe a momenti inceccepibili. Ma la base e il concetto di essere fuori della regolarità, con un senso della responsabilità non convenzionale ma forte, di avere un età distante dalla carta d'identità li so apprezzare. Come la necessità di dimostrare un giorno il mondo che non voglio scoprire o il credere nei sogni e in una giustizia che prima o poi restituisce a chi di dovere.

Ascolto mi lascio cullare finisco per digitare sillabe che trovo perfette per "Melodia per urla sopite".
Spiccata voglia di inchiostro. Mollo la tastiera e inizio a scrivere. L'inchiostro che impregna la carta è una alchimia di sensazioni sottili: odore di buio dolce che segue all'acidulo di uno stelo d'erba mangiato sdraiati su un prato. La carta carezza più calda della luce che la irradia. Le dita disegnano i tuoi pensieri. Filtri la vita che la tua anima sta filtrando.

Torno al monitor, cambio canzone. Rimane il Rap. Non c'è melodia più adatta per scrivere. Non ricordo da chi già lo avessi sentito: un artista elencò ben prima di me gli usi di ogni genere musicale. Dal ballo al pensare, all'allenamento, al sesso, tra tutte il Rap era il prescelto per scrivere. Sarà il groove prepotente ma lento.

Passo al basso. Suonare per me è una cosa abbastanza intima. Nel farlo metto a nudo le mie lampanti lacune il più delle volte, mentre quando le mani intuiscono le note giuste a trasparire sono anche i sentimenti celati. Non amo svelare le mie albe più rare. In compenso nel silenzio in cui si perdono note forse geniali o attraenti posso ascoltare i miei sogni, lasciare che le dita mi raccontino di me.

Queste ore mi dedico a sentire.

Oggi è una parentesi di voluttà estrema. L'ispirazione si è impossessata di me senza destinazione precisata e mi ha coinvolto in un racconto di se stessa. Quando si è filtri non si sa davvero il risultato dell'emozione, se ne è solo spettatori in anteprima.
Questo è il mio buio. Così è come cala la sera sui miei impegni irrealizzati.



Questo post non ha alcun fine nè morale. E' uno scampolo, un intermezzo di pensieri in libertà: il racconto dei miei desideri in libertà.

martedì 21 aprile 2009

preoccupazioni

Calderone...

Unendo voglia di riscatto, problemi, frustrazioni, pragmatismo, spasso ho cercato di produrre un minestrone di cambiamenti nel mio quotidiano che potessero esser definiti dal lemma "determinazione".
Cosa ho ottenuto ad oggi però è diverso e lontano, forse.

- Mancanze e ripensamenti anzitutto: gli anni difficilmente mutano le cause di una fuga. Persino quando situazioni e maturità dovrebbero essere cresciuti su ambedue gli argini.
Niente, non sembra neanche più questo un luogo mio.

- Poi ci sono i cambiamenti: ne ho appena accennato e già basta a darne la dimensione. Non è cambiato nulla; è tutto alterato.

- In fine ci sono i bui: ho scritto. Dopo tanta latitanza dal blog l'ispirazione giunta è stata un'autoanalisi caracollante tra ombra e luce. Un alterco tra ricordi.
Inoltre altro è stato scritto. non parole sentite semplicemente. neppure una più faticosa, e sentita, poesia. No, addirittura una canzone.
Non ero mai arrivato addirittura a metter giù un testo completo. Al più una strofa e stralci sconclusionati.
Quattro strofe e un ritornello già cantabile.
Ancora, sono almeno due notti che i soli sogni sono incubi: fantasmi dal passato con la loro voglia di spiegazioni, di tornare in dietro, di sorrisi, di persone da tenere in questo altroquando.
Mi arrovello senza tregua sul mio tempo qui.
Volevo trovare calma e determinazione. Ho scoperchiato il buio più profondo e celato.

Normalmente rafforza poiché è il principio di una svolta, dicono.

Potrebbe anche essere la fine tuttavia.

domenica 22 marzo 2009

cose strane

Aspettavo il mood.
Non è arrivato. Ma è arrivata lungo la battigia dell'attesa un'onda appena più lunga a spazzare con la sua spuma l'indecisione.

Era tempo che non facevo una cosa così otaku. Forse solo così forte.
Ora, novello Sakuragi, novello Nakanishi, non ho altro che spingermi verso i miei limiti, verso un nuovo me. Quantomeno un monito tangibile del volersi mondare dallo stato in cui mi trovavo c'è. Per ricordarmene ancora.

Reset autoimposto per fare una tabula rasa mentale e riconvertire le tenebre in carburante.
In fondo è nero anche il petrolio...

Vado a recuperare lo svantaggio.

domenica 15 marzo 2009

Tears of darkness part - 2

Forse ciò che sono ora non è che un protrarsi di quel cercare. Di quella sfumatura autodistruttiva, anche. Trovata una pace nel sottrarre, reimmergersi nel tutto per capirlo con coscienza. Così, goffo emulo inconsapevole del samana di Hesse, sono miseramente finito ad esplorare le ebbrezze del creato. Balzato in direzione diametralmente opposta verso un intendere l'elevarsi in Nietsche - style (cacofonico neologismo... scusate).

Coscienza di ciò nulla; è un vagar per valli mnemoniche di giustificazioni filosofeggianti il mio.

Dal niente al tutto in uno stesso cercare, perso nel niente ch'è nel tutto a rimpiangere tutto quel che era nel niente.


Il dubbio è sorto in modo estemporaneo, quando mi è stato fatto notare quel "pareva non ti mancasse niente". Vero. Eppure anche ora che ad arricchirmi non è più un tutto costante ma sono piccole individualità variegate riesco a trovarmi arricchito.
Purtroppo non sono più adattabile, comprensivo e felice come un tempo. Ma anche nell'ira trovo qualcosa che mi arricchisce come nei rifiuti. L'accidia, la viziosità... Ogni cosa al mondo di materiale o superficiale è divenuta apprezzabile.

Ho percepito anni la pece dentro me. Recentemente sto confrontandomi con la mia pece esteriore. Forse ripercorrendo tutti i difetti che avevo attenuato giungerò ad una conoscenza più approfondita di me, pronto per fondere i due universi. Quando elevarsi e immergersi s'incroceranno l'equilibrio derivante mi renderà un personcina un pochino migliore, un poco uomo.

Forse invece mi sto solo illudendo in uno slancio paradepressivo da cena iperglicemica con nottambulismo allegato.

Forse mi illudo perché dimentico che :" MAI, ASSOLUTAMENTE MA INCROCIARE I FLUSSI: E' MALE!".
Ritengo superfluo definire male a voi in questa sede.

sabato 14 marzo 2009

Tears of darkness part-1

Ho già parlato del periodo sleepless e dei tempi limitrofi. Le sensazioni che comportava, lo stato del mio essere allora.

Periodo quasi delirante, con pagine di diario d'adolescente in cui in una perdizione emulativa schopenhaueriana la frase più ripetuta era "Ascesi o Morte". Strano, già che le pratiche ascetiche sono talmente estreme, per risvegliare Kundalini come si dovrebbe, da portare il fisico ad un passo proprio dalla morte. Strano perché lo scisma spirito - fisico se permane contemplativo porta ad un distacco troppo ultraterreno; divenire improprio ed inadatto all'immanente è una forma di allontanamento che si potrebbe vagamente paragonare alla morte.
In fondo ambedue rappresentavano una cosa cui tendevo: autodistruzione.
Tuttavia non era fame, era una componente sfumata.

Era la ricerca. Cercare cosa, quando ci si prefigge di scostare il velo di Maya, è una domanda da non porsi; soprattutto per l'imprecisione della risposta che si potrebbe offrire.
E' uno stato che tende, o tendeva già che di me si parla, alla contemplazione, alla recettività.

Quanto mi manca il percepire!
Per quanta suggestione ci fosse, io la calma degli alberi ancora la invidio e assaporo. Come un cioccolato amarissimo: a distanza di anni ancora si può ripercorrere nelle papille i sommi capi del gusto. Come il miele di castagno, anche.

Mi è stato detto che l'immagine che davo allora, nonostante la ferraglia indossata e il cibo vomitato, era che non mi mancasse nulla.
Forse era proprio così.

Sia chiaro, il percepito era la mancanza di molto. Tuttavia quella perenne ricerca nell'apprezzare tutto filtrandolo aveva recato un non so che di calma.
Non era ascesi, non era privazione da tutto l'effimero; non c'erano levitazione, effetti luminosi o trasmigrazioni spaziotemporali del corpo astrale.
Ma recettività sì.

Anche allora non bastavo a me stesso, proprio come oggi. Come sempre. Ero in cerca di tutto e proprio perché tutto era ogni cosa potesse circondarmi non mi mancava niente: avevo il tutto a disposizione dell'anima.

mercoledì 1 ottobre 2008

sopravvivo

Trascrivo stralci di una chattata per descrivere un concetto poiché stavolta ho trovato le parole!

Talvolta ci si sente chiedere cordialmente "Come va?". Spesso ho avuto la tentazione di rispondere con sincerità; talvolta l'ho fatto. "Sopravvivo". Alcune volte l'ho detto, ma non so quanto questo venga compreso.
Sopravvivere a volte è un concetto che esprimo sorridendo, per dissimulare eventuali imbarazzi che il concetto nella sua forma più veritiera potrebbe suscitare.



mi sento abbastanza in sintonia da poter dire che non me la passo bene senza dovermi sentire giudicato o frainteso
penso tu possa capire bene cosa si può intendere con "sopravvivo" senza pensare
che voglia suicidarmi
o che ci debba essere una causa precisa o definita e imminente

è una sensazione
tipo charlie brown
resti sveglio nel cuore di una notte a porti domande e con una sensazione strana addosso e senti una voce che ti dice
"ci vorrà più di una notte" e pensi
beh io intanto sopravvivo
poi andrà meglio



Sopravvivo reca in sé un'inquietudine di fondo a cui è difficile dare spiegazione. Ma è lì e si fa viva. Aleggia d'intorno e dentro. Sopravvivo è una condizione in cui non si lascia sopraffare da quello che si sente fuori posto. Manca allegria dentro, mancano entusiasmi e slanci. E' cattivo umore del tipo più uggioso. E' attesa e desiderio che vada meglio. Forse è un po' piangersi addosso, forse è più sensatamente una fase in cui si cerca di raccogliere le forze, trovare spiegazioni e di lì spiccare il volo.

sabato 27 settembre 2008

vagar solingo

Riprendo un discorso vecchio, trovando lo spunto col video giusto che piùgiusto non si può.

"... perché niente è peggio che sentirsi soli, pur avendo un sacco di persone attorno."



oppure nella versione originale qui

Ecco, credo sia successo a tutti di sentire quella mancanza tra le mani ed il petto di avere qualcuno da stringere, qualcuno con cui confidarsi e da cui sentirsi compresi a fondo.

Sentirsi soli nel profondo, distanti da chiunque... Nessuno capace di scalare la rocca in cui ci si è rinchiusi.
E' doloroso talvolta sentirsi così soli.

Ma come il Dottor Dorian credo le persone non siano fatte per esser sole; eppure credo anche che la solitudine e la coscienza di questa condizione siano parte integrante e distintiva dell'uomo. Siamo soli. Sempre e comunque, contro tutto. La nostra individualità è imprescindibile e quando incalza quel senso di marginalità perimetrale del mondo è solo una testimonianza di una non totale capacità di far forza su noi stessi.
Forse quando mi sento così solo è semplicemente un incompleto ascolto dato a me stesso. Quando mi deciderò a gravare tutto il peso sulle mie sole spalle e gambe, forse, troverò la capacità di non sentirmi più solo. Forse non sarò più una compagnia sgradevole.

martedì 23 settembre 2008

caffè nero bollente

Da bambino trovavo il caffè la bevanda più disgustosa del creato. Quando sentivo parlare di un qualche uomo del passato che aveva scelto di morire bevendo cicuta, bevanda amarissima, io associavo la mortale bevanda a quello stesso fluido di cui sono oggi dipendente.

Non che oggi trovi il caffè più buono di allora. Venticinque anni trascorsi e ancora, al primo fluire tra le labbra, un brivido tra l'orrido e il disgustoso m'invade dalle papille gustative.

Mi sono soffermato per un attimo di questi pomeriggi d'uggia d'autunno bellissima a riflettere sul perché mai mi ostini a bere caffè non amandolo.


Mi sono ricordato di quando ho scoperto il caffè.

Ero diciottenne o poco più, ultimo anno di liceo scientifico o poco meno. Come già spiegato era per me il periodo magico in cui tutto attorno mi rifluiva tra i sensi come incanto senza sosta. Il caffè era strumento fondamentale per poter vivere tutta la vita che volevo senza accusare troppo settimana continue di massimo cinque ore di sonno a notte.

Utilità dunque??

Senza dubbio.
Tuttavia c'era e c'è di più. Già il caffè causa disgusto, privarlo dello zucchero è una mossa antistrategica. Lo è in apparenza soltanto, per quel che mi riguarda.

Inizialmente non addolcivo per erronee credenze dietetiche in breve corrette. L'amore per gli zuccheri è tornato, il caffè è ancora amaro qui di fianco al monitor.


Finalmente oggi ho ritrovato un perché valido.
Sono quasi dieci anni che bevo caffè nero bollente. Dieci anni di ustioni alla lingua e di attese perché intiepidisca. Dieci anni di amaro in bocca gustato.

Sì, gustato. Perché dopo il primo tentativo di dolcificare il torbido liquido ho appreso una cosa privata e intima col caffè: il caffè è come la vita. Di primo acchitto sembra imbevibile, amaro ed acre, incandescente... Ma se dopo qualche attimo di contemplazione e preparato al bollore vivi l'amaro, ti troverai innanzi a effluvi e note di cui è dolcissimo fluttuare nel gusto.

Per questo mi piace così nero, bollente e abbondante: perché per quanto melmosa amo la vita e assaporarla con entusiasmo.

Il mio monito quotidiano...

domenica 21 settembre 2008

confini

Non so bene spiegarmi da quando accada, ma in questi anni ho sviluppato una tendenza che non amo troppo: prediligo vivere ai margini di alcune vite altrui. Non so neppure se classificarla come superficialità (come ascoltare poco attentamente certa gente) o misantropismo o diffidenza. Non so.
Non so altro se non che non la sento troppo mia.

Però è così. Generalmente accade quando ho idea di aver compiuto o detto un qualcosa che mi fa sentire il rapporto d'amicizia in fieri come in crisi. Io incomprenso, io maldestro, altri fraintesi, altri meno affini del previsto... è un'alchimia.

Il risultato è che percependo una qualche non ben precisata e possibilmente immaginaria tensione subliminale il me di oggi tende a congelare ciò che era con un passo indietro.
Distaccarsi appena dalla frequentazione e da quel livello di confidenza percepita per tornare ad un maggior distacco. Questo permette talvolta di mantenere decente e sorridente il rapporto.

E' un comportamento che non amo se trovo un momento di lucidità per analizzarlo. Il risultato infatti non è una carezza per me.
Scoprire che questo allentare la presa riduce negli altri ancor più che in me il senso d'affetto e d'amicizia mi lede un po' l'autostima.

Così mi ritrovo inesistente in foto di gruppo, non menzionato, ricordato perché incrociato in un corridoio e così via. Non che mi possa dispiacere troppo: sono io per primo la causa di tutto; ma scoprirsi protagonista di una vita ai margini dei rapporti intessuti dagli altri, sempre in punta di piedi iperanalitica per non disturbare o sempre goffo come un elefante i cristalleria, fa male a chi ha sempre anteposto le amicizie (anche quelle inconsapevolmente unidirezionali e malriposte) persino a se stesso.

Vivo come un randagio al confine di territori solo per evitare scontri o di ferire.
Mi ritrovo più solo del solito.

Non fa più male del solito. Non quello. Il carico lo mette saper di esser io il responsabile volontario.

domenica 14 settembre 2008

come va?

Gira il mondo
il vento spira


Galleggio sul fluire dei giorni

venerdì 22 agosto 2008

sussurri di ferragosto

Siamo niente dal valore del cosmo.


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Siamo poco più che frasi sulla battigia

giovedì 21 agosto 2008

canto natìo x ferragosto

canto nella mia città
note senza voce
grida gettate nel frastuono
del mare
lacrime affidate
al vento e alla salsedine
vorrei ambizioso* volteggiare
ma a stento riesco
a cadere



*
in originale era "giusto"