giovedì 23 giugno 2011

analisi del testo

E' tempo di maturità. Mi cimento molto scherzosamente, anzi per nulla, in una analisi di testo.
Dico per nulla perché non ho la minima intenzione di far scansioni metriche o studio delle figure retoriche. Mi hanno fatto conoscere una canzone e nei giorni e nei riascolti più pensieri si sono assiepati nella mia mente. Voglio condividerli, sperando un giorno di rileggerli trovandomi cresciuto.



(I diritti relativi alla canzone sono come sempre di Daniele Silvestri e dell'etichetta che li ha prodotti. Per le canzoni di Guccini e dei Mao diritti loro)



Se sarebbe facile vederci altre persone elevandosi a giudici, io mi sono trovato in una situazione scismatica.
Credo la prima parte rifletta molto bene alcune persone, me compreso.

"Quello che faccio e che continuo a difendere" esiste eccome. Dietro le scuse che spesso poniamo quando con altri non c'è solo sicurezza delle scelte, ma anche tutelarsi dalle critiche. Ci si racconta che i propri gesti siano quelli giusti, quelli a cui dare ragione. Talvolta si perde fette di razionalità lungo la via e ci si impantana...

Nota molto vicina, ancora, è poi
"non ti fidi di niente, neanche di me"; mi sono rivelato un discreto misantropo negli ultimi anni e soprattutto nelle relazioni ho serrato nel profondo la capacità di fidarmi, cedere le armi e abbandonarmi. Le ferite subite ogni volta che l'ho fatto mi hanno reso perennemente dubbioso e diffidente. I risultati non sono poi stati gran che: ho finito col ferire, col non vivere appieno.


"Non funzionerà mai
se non funziona così com'è
e non migliorerai
se ti ostini ad attendere
come acqua stagnante
non c'è nessuna corrente
dentro di te
(e non ti puoi nascondere)"

Sono parole che mi sono sentito rivolgere, sebbene in parafrasi, neanche troppo tempo fa.
Ma interrogativi me ne pongo eccome: Se non funziona così com'é non servirebbe almeno un tentativo per cambiare? e soprattutto così com'è è veritiero o è una fase? Mi sembra semplicistico...
Devo invece amaramente concordare che di corrente in me ce n'è poca e se c'è é comunque alternata. Mi lancio solo in determinati progetti o momenti ma tralascio il tutto; in certe cose non ho minimamente slanci od entusiasmi.
Dovrei senza dubbio imparare a rendermi attivo, non affidarmi ad attese o correnti.
Va da sé che questa è una frase valida verso molti individui se slegata: qualunque convinzione inamovibile è criticabile. Così chi si sente nel giusto di una scelta e confida di star agendo bene si affida parimenti ad una corrente inesistente.

Di certo tutta questa prima parte la troverei una insopportabile lettera d'addio, un po' come anche "Vedi Cara" di Guccini in cui si respira un senso di ineluttabilità, di irrimediabilità piovuta dall'alto che di tutto parla men che d'amore. Sarebbe invece bello fosse lo spunto per far ripartire, per smuovere dalla attesa stagnante.

Ancora, mi vien da pensare, buffo, che magari si può definire stagnante chi stagnante non lo è in molti campi e si attarda su altri poiché solo quelli si vedono (o vogliono vedere). E così più stagni criticano un altro stagno. Patetico...
Umano.

Poi però cambia tutto:

"E complimenti mi hai convinto che l'amore non basta
e così non mi resta
che lasciarti stare
senza nessuno che ti giudica nessuno, intendo, che ti sgrida e si preoccupa.
Sarà senz'altro
tutto molto più leggero,
ma sei sicuro che sia meglio
per davvero?"


Qui inizia il dissenso.
"L'amore non basta": se si pensa questo è fallito tutto.
Dico questo pensando che amare sia qualcosa di talmente disponibile a dare e ad attendere che possa essere sufficiente. Tutto quel che serve in una relazione quando manca l'amore, parlarsi, ascoltarsi, cercarsi, scegliersi, sacrificarsi alle volte, congiungersi, etc. non è altro che ciò che l'amore ha implicito in sè. L'amore basta eccome. Il guaio è che prima o poi tutti se ne abusa in termini e si finisce col dirlo quando non è autentico. L'amore non basta quando non c'è (simultaneamente dalle due parti in causa). Diciamola tutta.


"così non mi resta
che lasciarti stare
senza nessuno che ti giudica nessuno, intendo, che ti sgrida e si preoccupa."

Come si può non vederne la valenza? come si può protestare perché c'è chi si vuol curare di te? Almeno apprezzare, dico, dovrebbe essere il minimo. E' la parte amicale della coppia, in parte. Voler accudire, voler anche solo sapere un domani cosa capiti all'altro. Ripudiarlo è come il senso di indipendenza adolescenziale; infantile imposizione di distacco.

L'interrogativo sul
"sia meglio per davvero?" lo intendo come retorico e passo subito al punto nodale


"Volevo esserti di peso,
perché dipendo da te."

No. No, cazzo. Mai creduto nella totale e cieca dipendenza. Sentirsi satellite ok, ma solo per reciproca attrazione gravitazionale. Così come il pesare regge solo se inteso come "far sentire la propria presenza", altrimenti non mi identifico.
Non si deve pesare; è lieve il tocco di un compagno. Sempre là ma mai a gravare, a imporre scelte, a pesare.

Come nel tango: si cede il peso, si guida e si inventa ma si volteggia in coppia.

Poi, peggio ancora è il voler pesare! naaaah...

Certo, va concessa un'altra interpretazione, ove pesare non è altro che restituire la dipendenza e l'attrazioen; quanto maggiore si sente la necessità di scambio con qualcuno quanto più lo scambio viene offerto. Legge per me verificata e condivisibile, dunque. Ma non la esprimerei mai con un "esser di peso", anche se immaginando la canzone biografica è plausibile fosse l'accusa riportata per citazione.
Stessa cosa per la dipendenza. Ho già scritto tempo addietro su come il dire "sei tutto il mio mondo, la mia vita" vada preso alla lontana: la vita continua, si ride si scherza si vive. Solo che non c'è l'incanto. L'amore è un incanto. Dipendere da un incanto è una malìa e come per ogni assuefazione, esiste una cura per sciogliere la dipendenza. E' bello uguale? No. Si può vivere ugualmente? certo.


Sintesi: una canzone che dovrebbe far notare le lacune altrui si dimostra spunto di profonda autoanalisi, riprova che non esiste mai una ragione univoca. Spesso non si è disposti a mediare, attendere, ascoltare in campo affettivo, mentre talvolta bisognerebbe mettersi in gioco fino all'ultimo ché farsi la doccia all'intervallo non è il caso neanche per gli infortunati.
L'ideale sarebbe che non scegliesse mai un altro per noi ma che si scegliesse assieme.
In due la dipendenza dovrebbe più essere un ruotarsi attorno attraendosi costantemente lasciando ai momenti difficili il compito di industriarsi, cercando e ricordandosi però che si è in due nel gioco e se uno si addentra nel bosco l'altro lo aspetta con una lanterna per indicare il cammino.
Perché l'amore perfettamente ad incastro che piomba dal cielo esiste per i romanzi. Il resto, perché la vita sia un po' un telefilm, é nel lavorare perché ci assomigli.

martedì 21 giugno 2011

intanto due aggiornamenti

Che poi è uno. Sono ancora a palpeggiare l'anatra: osso non saldato, osso spostato... Salderà? il mio fisico potrebbe essere una cambiale scoperta. Frattanto m'hanno inchiodato (non come Cristo in croce, ma manca ancora un po' ai 33anni) e rimesso fermo, appeso all'anatra. Tanti farmaci, le nausee, lo scoramento. Però non si può perder del tutto la speranza, che i giapponesi ai mignoli rinunciano anche volentieri per orgoglio o per errori da riparare.

Quindi provo a stringere i denti e guardare al domani. Chi vivrà vedrà, io intanto la mia indipendenza e i miei affari li lascio in sospeso fino ad agosto. Giusto perché è iniziata l'estate.

mercoledì 15 giugno 2011

lonelyness

Ci sono molti modi e tempi in cui sentirsi soli e un po' sperduti, ieri me ne è capitato uno. Irrealizzato in realtà, perché a volte ci si vergogna di essere tanto patetici. Qui però posso raccontare.


Ospedale. Intervento finito. Su una barella in una stanza a guardar fuori dalla finestra intanto che ci si attrezza per sostenere in alto un braccio attacco al corpo come fosse un pezzo di qualcun'altro.
Normalmente le infermiere sono oggetto di allusioni sessuali e tentativi d'abbordaggio nell'iconografia da maschio medio.
Quasi tutti provano a chiedere carinerie, tastatine e affini. Almeno vorrebbero.
Io, in quel letto, per come sono andati questi ultimi quaranta giorni, ho desiderato chiedere una sola cosa: una donna che si sdraiasse accanto a me e mi abbracciasse.

venerdì 10 giugno 2011

il blocco -coatto- dello scrittore

Questo spazio, l'avrò detto chi sa quante volte, è diletto e sfogo. Non è un lavoro e non è nemmeno una autoimposizione. Scrivo perché mi piace qualcuno possa leggere? certo; ma sostanzialmente scrivo perché mi piace.

Il blog quindi è una cosa che richiede tempo. Non tanto tempo da dedicare all'atto in se della digitazione, bensì il tempo di far affiorare il vissuto in echi ed incastri trascrivibili. Se questo spazio è una finestra sul buio della mia anima, almeno in parte, Beh! serve tempo perché possa guardarmi dentro. poi serve che gli occhi si abituino al buio. Infine devo riprendermi dallo spavento ed elaborare.

Ecco insomma perché per mesi non scrivo: non ho tempo. Devo poter stare con me per poter vedere il buono o la melma in me. Portate pazienza e tenetelo a mente.

giovedì 9 giugno 2011

titolo volutamente assente

Voglia di far niente. Dolce apatia, squallida inedia. Mi sento come svuotato, niente intorno che susciti in me il benché minimo interesse, nessuno stimolo interiore a fare.
... e mi sento un cretino a star con le mani in mano (la mano)in un momento in cui la sola cosa da fare sarebbe reagire, trovare un fottuto stimolo interno a combattere, a non mollare.
nulla.
resto a contemplare una parete o un monitor con interesse identico: col solo scopo di far tramontare ancora un altro giorno il sole.

Faccio troppo affidamento sul prossimo, sui sogni, sulle parole e le cose che mi piace fare mi sono precluse. Tutto si ridurrebbe al voler dare una svolta, ad afferrare il destino e modellarlo per quanto possibile verso le direzioni volute.
In tutto questo io resto.
Non sono cambiato poi molto da quello che ero e raccontavo coi tasti qui. Ho più consapevolezze, ho idee meno vaghe e obiettivi sfoltiti. Ma la volontà rimane la stessa di sempre: burro al sole.

Cambierà. Cambierò. Ma vorrei che "quando" fosse già ieri.

mercoledì 1 giugno 2011

ha un senso questo post?

Eccomi qui. Ancora qui a riguardare dentro ancora una volta. Ammiro quasi il tempo trascorso, le trasformazioni ed il susseguirsi di cicli invece praticamente identici.

Sensazioni che una canzone mi sembra rispecchiare piuttosto bene. Certo, senza cellulite. Lei è Noemi (diritti della canzone suoi e degli aventi i diritti), voce per me molto piacevole emersa da X-factor, il titolo è "vuoto a perdere": nessuna spiegazione aggiuntiva necessaria, direi.



Anche per me i cambiamenti sono stati impercettibili: anni a sentire di aver buttato quegli anni che trascorrevano in cose insulse, di non aver vissuto. Certo, alcune barriere han fatto sì che non mi permettessi di vivere certe cose appieno. Ho seguito mille sogni ed attività appresso alla forse illusoria credenza che "se non puoi essere il migliore in un singolo campo puoi almeno riuscire ad essere poliedrico abbastanza da portare avanti più cambi, così da avere più storie da raccontare". Ho inseguito l'amore, anche. L'amore romantico della persona ideale, ma anche l'amore come principio fondante legami: amici, parenti, compagne. Ho sempre cercato di intrecciare la mia vita con chi poteva avere un ruolo in essa, anche marginale.
Magari così facendo ho speso molte energie con chi non meritava e dato meno a chi invece avrebbe meritato tutto e di più. Ma oggi sono consapevole di saper provare affetto, di saperlo donare senza grandi pretese in cambio, di avere un cuore abbastanza grande da saper abbracciare parecchie persone e fronteggiare la delusione di chi quei legami non capisce o non apprezza il senso.

E' passato il tempo, mi sento ancora un vuoto a perdere: mille progetti e sogni in testa, quasi niente di concreto in mano... i capelli sono senza e la pancia è triplicata...
Mi trovo spesso a pensare di aver fatto tutto questo per niente. Anche io. Sono arrivato a chi sono senza realizzarlo, trovando solo autocoscienza del punto d'arrivo e vaghi ricordi del cammino. Però credo che se sono ancora qui a non accontentarmi, a non arrendermi di diventare migliore, a non asserragliarmi dietro la facile scusa del "io sono così prendere o lasciare", forse un pochino sono divenuto chi volevo. Perlomeno non ho tradito completamente il cammino.
Avrei voluto fare alcune cose diversamente? credo di sì, ma ancora mi alzo la mattina e quando mi incrocio allo specchio non provo disgusto. Non sono fiero, ma almeno riesco a guardarmi ancora negli occhi.
Resto in balia di me stesso. Resta il senso di melma densa e torbida nel profondo. Resto qualcuno che non si concentra sul suo proprio colore e che gli altri si adattino. Resto un imbranato e un pessimo ascoltatore. Sono diventato misantropo e schivo, timoroso di tutto e pieno di preoccupazioni... ho perso slanci ed entusiasmi verso il quotidiano come per le novità. Il tempo ha cambiato le persone, me per primo ed una parte di me rimane un fottuto straccio liso e privo d'utilizzo per qualcuno.

Eppure c'é una parte in cui non mi ritrovo:
" Ma non mi fermo più
a cercare qualcosa
qualche cosa di più
che alla fine poi
ti tocca ripagare"

... qualcosa in cui non mi do per vinto. Nonostante tutto io mi fermo ancora a cercare qualcosa, quel qualcosa che se va storta dovrai pagare un conto salato. Non ho intenzione di smettere di emozionarmi per i colori di un fiore rampicante su un muro che compare d'improvviso da un angolo. Voglio continuare a cercare e sognare. Voglio provare a non fermarmi, a ricominciare ogni volta.

Mi sento un vuoto a perdere, un fallito, un gatto randagio. A volte nelle intemperie a schivar macchine in corsa a notte fonda, talvolta nell'alto di una legnaia a graffiar chi prova a prendermi o curarmi.
Sto continuando in un susseguirsi di niente in cui perdermi e sperdermi. Forse non ne uscirò mai.
La sola novità è la consapevolezza di tutto questo e la volontà di andare comunque a testa alta. Non voglio pensare a un secondo tempo, a gestire il punteggio: voglio giocare divertendomi e dando tutto quel che ho, fino alla fine. Ché nessuno che assista alla partita possa mai dire che non metto l'anima in ogni palla giocata.