giovedì 18 febbraio 2010

non semplice brusio

Chiacchierando con [n] sul suo blog questo suo post mi ha tirato fuori questa riflessione, che condivido piacevolmente con voi:

si può continuare a soffrire se il cuore non esiste più? ... Uhmmmm
da semimedico direi il cuore non cessa d'esistere neppure da morto, però so che intendi la componente sentimentale e quindi cambio inquadratura (presa peraltro più per giuoco che altro).
Se soffri hai ancora un cuore, quindi si può ancora.
Se non soffri più non è detto tu non abbia un cuore: dovresti non provare più alcuna emozione; nessuna foto da scattare (non coglieresti l'attimo empatico), nessun cielo da ammirare, neanche un assalto o due bei SENONI susciterebbero in te più nulla. Non saresti pervaso più neanche da un'increspatura emozionale.
Ecco, in un caso simile forse sì, potresti non soffrire più. Ovviamente escludendo il male fisico perché se ti vergano o ti bruci soffri comunque...

riflessione estemporanea... anche da semimedico in effetti bisogna convenire che i mammiferi superiori tutti sono strutturati per essere convogliatori di sensazioni. Insomma, siamo da millenni strutturati alla percezione.

corollario: c'è vasta possibilità per il protrarsi della sofferenza.
Permettimi di specificare in chiusura che nonostante l'apparente pessimismo mi ritengo un cultore non della sofferenza protratta ma della percettività a oltranza (per chi ne è dotato).
La sofferenza è solo un aspetto conseguente e secondario dell'emozionarsi. Fiamma inestinguibile e splendida.



Insomma, ragionando a mente fredda sembra proprio che il sistema neurale sia strutturato per incamerare ogni esperienza e che sia supponibile che qualunque entità dotata di coscienza abbia la facoltà di soffrire.
Ancor prima del dolore però v'è l'emozione.
Per non emozionarci dovremmo andare contronatura. Talvolta mi sembra sia una direzione pancontinentale e oltre, talaltra una scelta comoda e vile di affrontare la vita.

Se fossimo contenitori temporanei d'esperienze e conoscenze per vite superiori sarebbe illogico non poter più soffrire e tanto più lo sarebbe volerlo.

Sotto un aspetto prettamente pratico poi mi viene da pensare che "non poter più soffrire" nasconda una certa volontà di autoconvincimento per darsi una spallata e andare avanti. Legittimo e comprensibile, ma non per questo sintomatico di una facoltà che viene a mancare.
Perché l'anima soffra di atrofia da disuso bisogna essere veramente aridi. Ho la convinta illusione che per alcuni sia impossibile.

il discorso è ovviamente privo di coinvolgimenti di singoli, è generale.

1 commento:

collante ha detto...

La sofferenza fondamentalmente è una freccia. Appuntita, lucida, veloce. Ti colpisce al cuore, ti sfianca; a quel punto hai due soluzioni: staccare la freccia rischiando di veder zampillare sangue e lacrime o lasciarla lì, sperando che il tuo corpo la riconosca come propria e la inglobi senza pericolosi rigetti. Tutti soffriamo, ed è vero che è una sfaccettatura dell'essere umani provanti emozioni. Ma prima di tutto, siamo bersagli. Bersagli pronti ad essere colpiti dall'esterno, ma anche dall'interno a volte. Viviamo costantemente in una tempesta di frecce e solo alcuni ne riescono a scansare molte; qualcuna però, prima o poi, arriva sempre. Quello che mi chiedo ancora è: si può ad un certo punto non trovare più il bersaglio? Si può rendere questa sorta di calamita per la punta della freccia un pò più trasparente, anche inconsapevolmente?

[n]