Stasera ho voglia di scrivere. Non c'è una destinazione e nemmeno una morale da elargire. Mi dibatto tra libri, pensieri e controllo delle piattaforme di contatto virtuale a distanza. Scorro faccialibro e senza un perché mi viene voglia di blog per contrastare a una nausea che assale. Ho sempre sostenuto i social network: mi hanno permesso di recuperare un contatto, certo marginale, di persone altrimenti perse, smarrite. Non dico siano tutti degli amici per sempre, ma preferisco sapere come vada al vita a una persona a cui sono stato e un po' resto affezionato piuttosto che non saperne nulla fino al necrologio. Alla fine si diventa uomo anche traendo lezioni dagli errori fatti e dalle radici da cui son spuntate le tue fronde. Ritrovare le persone di un tempo fa ritrovare scampoli del proprio passato. Credo sia un elemento rafforzativo e non c'è nulla di male nell'essere nostalgici. Però ci sono giorni in cui inalerei gas piuttosto che sprofondare nel qualunquismo che le piattaforme sanno e possono generare.
Desiderio di parole.
Ecco, stasera avrei voglia di un vecchio amico e di racconti e scambi di vissuto: "che hai fatto mentre eri via?" - "come è quel posto?" - "non crederai a cos'è successo qui intanto!"
Sì, vorrei giusto un po' di e di magari su una vecchia auto mezzo sfasciata sotto un lampione lungo una strada poco praticata.
Sono sensazioni che nemmeno strimpellare il basso lenirebbe. Quello è una voce interiore, accordata negli anni alla compagnia di una precisa chitarra. Qui urge un confronto, uno slancio verso l'ignoto di una risata inaspettata o di discorsi senza senso, di cambiare argomento a metà. E' passato più d'un mese. Io sono ancora a cercare di dare una direzione alla mia esistenza, come sempre. Ho tentato di realizzare progetti di aggiungere attività ed interessi e di iniziare qualcosa di nuovo.
Non smetto di sfuggire alle vere responsabilità e rimango un ragazzino viziato. Solo, con sempre più carne al fuoco. Un cambiamento c'è stato: sono più contento dei miei incontri, dei legami che stringo, dei sorrisi che ricevo e dono. Certi giorni sento di riuscire a collegare in un abbraccio teporoso le persone cui mi sento legato oggi, pochissimi fuori dalla sfera dello sfiorare. Se alcuni sono lievemente troppo trascurati per distanze e impegni, altri riesco a gestirli meglio di un tempo. I miei affetti cominciano a essere nell'orbita che, grosso modo, vorrei.
Il grande interrogativo è la direzione. Quella giusta forse creerà molti dissidi e lamentele ma potrebbe portare a un meglio più in là del nostro naso. Le alternative però sono molteplici e qua ci vuol poco perché il vascello coli a picco.
Prima ancora di entrare all'università venni definito una persona "fortemente simbolica". Non ne avevo ancora una coscienza o una motivazione forti, era un accenno di consapevolezza che mi permise giusto di non negare nell'imbarazzo di sentirmi un po' scoperto all'improvviso.
Sono passati oltre dieci anni e posso dire con serenità di essere un individuo attaccato ad alcuni rituali in maniera ostinata e quasi morbosa. Orgogliosamente ritualizzato ed orgogliosamente morboso. Certe piccole ritualità sembrano solo manie, follie. Ho compreso negli anni essere anche quelle e talvolta soprattutto, a delineare una persona. Nel tempo i rituali assumono significato, cominciano a diventare una tradizione: talvolta rievocheranno un racconto particolare, altre volte diverranno il modo stesso per pensare una persona, sentirla vicina. In un rituale può racchiudersi una personalità, una gestualità, un pensiero. Parteciparvi, anche come spettatore, permetterà di rivivere da soli la compagnia di quella data persona. Quei gesti strani, che si prendevano anche in giro magari, da cui ci si distaccava, che risultavano persino incomprensibili, assumeranno senso quando non sarà vicino l'interessato.
Che sia un modo di dire, o svolgere qualcosa, il rituale ci caratterizza. L'atto simbolico maniacale è più che una parte di noi, siamo noi stessi in un carattere fortemente distintivo e, perciò, rappresentativo. IL rituale talvolta è forse una delle azioni che meglio potrebbe caratterizzarci. Dovremmo andarne fieri, perché i nostri rituali saranno la nostra memoria storica nelle persone che più tengono a noi e a cui noi più teniamo.
Pur non essendo cani siamo vittime anche noi della potenza dell'olfatto. Spesso anzi un odore, un profumo, è in grado di suscitare emozioni intensissime, innalzare le sensazioni. Talvolta fa sprigionare ricordi, riesuma brividi per tutto il corpo. Momenti bellissimi in cui in un istante si rivive istanti preziosi. Capita anche che siano odori associati a cose sgradevoli a ritornarci incontro, così io pollo e coniglio arrosto li mangio con difficoltà estrema dopo aver visto come questi vengano allevati ed anzi quando posso scegliere sostituisco con altro: vegetarianesimo allargato per imposizione e per autocoscienza.
Si vive serenamente, dimentichi, incauti, poi un profumo passa accanto e la tua vita fino a quel punto è sconvolta per lunghi attimi che paiono infiniti. E' una scarica che ti investe potente come un'onda inaspettatamente più forte e gonfia di corrente di quanto avessi valutato in un giorno di mare mosso. Personalmente resto sempre sconvolto quando mi capita. In positivo ed in negativo assieme: ricordare cose felici è bello, ma se quella felicità è andata ed è ormai irraggiungibile è riaprire ferite, sale sulle cicatrici.
Mi ricordo in modo vivido e totalizzante di odore di tisana all'ibisco e miele di castagno. Un odore pungente e fresco, seguito da un sapore avvolgente ma semplice, lieve, seguito dall'amaro del miele al castagno. Un insieme di sapori e profumi che pare una carezza fatta con un fiore in bocciolo. E' ricordo di crepuscolo sereno col freddo alla finestra ed uno sguardo complice di fianco. Un sospiro con tutto il tempo del mondo dentro. Profumo di serenità, di vita che verrà.
Ho scoperto nuove fragranze, profumi che lasciano sognare ben più lontano, come un semplice giorno di sole per le strade di casa tua. Puro potenziale. Ho ritrovato profumi che ancora mi fanno sorridere e mi riempiono il cuore di tepore. Certi profumi invece sono divenuti così ordinari e qualunque da sembrare scialbi e deludere perché anziché evocare lasciano solo interdetti.
So una cosa però: il mondo è una serra fiorita, una cucina ricolma, un mercato fornito ed è una fucina di incontri. Narici dilatate. Del profumo di tisana all'ibisco e miele di castagno non resta che una fantasia.
Ascolto oggi per la prima volta una canzone dolcissima,
come una carezza tra innamorati. Immagino di star su un manto erboso o su una spiaggia deserta in un soleggiato giorno d'inverno: l'aria tersa, il vento odoroso di salmastro e un senso di pace indefinibile, ma certamente soffice non meno di una nuvola come cuscino per sognare.
Una ninnananna quasi, che sussurra le intenzioni oltre le parole, l'anima su tutto, i dialoghi del cuore: "laddove le parole non sono chiare il cuore saprà intendere ogni singolo bacio" potrei parafrasare. Trovare qualcuno di speciale tra le innumerevoli persone di cui non ci si può fidare. Quasi un "Almeno tu nell'universo" della compianta Mia Martini.
Non bastasse il titolo è già per me evocativo e adorabile: danzare sotto la pioggia è il solo momento per me in cui ballare. Incuranti del tutto godere della piena libertà tra le lacrime del cielo, assaporare un istante in cui incontrando le gocce si può provare la consistenza intorno a noi. L'aria è palpabile e l'acqua ci scivola lungo il corpo scavando, mescolandosi, fondendosi. Se si ha qualcuno con cui ballare sotto la pioggia si può vivere un momento bellissimo. Un frammento di gioia.
Chiudi gli occhi, segui i suoni, danza il frastuono della pioggia nel suo ritmo incalzante, rintoccante. Spalanca la vista e godi il mondo fra le gocce, ubriacati. E' permearsi nella vita che ci circonda, è affidarsi ai linguaggi più spontanei e sinceri, quelli dell'anima e del corpo. Vivi, trasmetti, percepisci. Al di là delle parole.
Già una volta ho scritto di momenti toccanti durante i tirocini. Come per quel San Bernardo ed il bambino.
Ho rivisto entrambi recentemente: il cane tosato e magro per una malattia, con appena la metà della sua imponenza, il bimbo in piedi e riccioluto sul cenere con negli già un accenno della corruzione adulta, niente più incanto indiscriminato. Peccato.
Ciò di cui voglio invece parlare è antipodico rispetto a quell'evento. Vengo chiamato fuori per parlare, in disparte tra le automobili parcheggiate con faccia seria e torva. Non avevo idea di quale sfuriata incombesse, sebbene propendessi per proteste sul tempo d'attesa ché gli innumerevoli incidentati del giorno avevano creato una fila consistente. Mi viene chiesto quando può entrare a saldare. Smarrimento istantaneo: cose che non mi riguardano a priori ma che ho difficoltà a capire ancor di più già che non è nemmeno entrato, ancora. Poi arriva la motivazione. Una rivoltellata a bruciapelo dritta in pancia, occhi strabuzzati senza poter mantenere un'espressione imperturbata: "stamane Red è morto". Frenata dei pensieri tutti. I casi, le terapie, la fila fuori, il vociare, i latrati, le cose da imparare, la stanchezza, i malumori. Inchiodata istantanea senza neanche ABS. Via poi a tutta velocità a pensare a cosa sia successo perché per come e ripercorrere la storia. Red, inizialmente Roscio, è un gatto trovato da un villeggiante sotto Pasqua. Trovatello raccattato come tanti. Lo hanno raccattato in giardino e per compassione provano a fare qualcosa. Ne passa tante, tra cure per le infezioni respiratorie accertamenti vari per fare diagnosi e così via. Loro tornano al luogo di residenza ufficiale, ma continuano a farlo seguire da noi. 120 Km ad andare e 120 per tornare. Il gatto migliora poi ripeggiora e così via. Dopo qualche mese con controlli e terapie di mantenimento a distanza Roscio, ora Red, dopo essere stato bene era ripeggiorato in Settembre. Fin qui una storia come tante. Un caso cronico grave su cui tutti, neo proprietari in primis, hanno investito molte energie. La mente è qui col viaggio, con la ricapitolazione ma prmia che possa arrivare alla bocca alcun comando per parole arriva lo sparo. Ascolto come Red sia morto.
Red il trovatello, raccattato in giardino per caso in un giorno di pioggia; Red il randagio col fiato corto e le zampe magre che si regge in piedi tremolando all'alba si alza dalla cuccia, esce e si trascina per una rampa di scale e poi fino le camere da letto. Lì riesce a montare a letto e miagolare flebilmente. Il proprietario si sveglia e gli fa posto intanto che Red a testate cerca di accoccolarglisi al fianco premendo con forza. Red si sdraia accanto a lui, accosto a lui. Miagola ancora, si acciambella come può, lo guarda, poggia la testa fa due rantoli e muore. Red stamane all'alba è morto impiegando le sue ultime forze per andare a ringraziare chi si era preso cura di lui senza un perché se non per l'avere un cuore.
Ho ascoltato il racconto da un uomo adulto con gli occhi bordati di un rosso vivido.
Il primo pensiero è stato che gli animali riescono a dimostrare una umanità per noi oramai obliata, ancestrale gene sopito. Ne sono certo; schifato soprattutto.
Ora, con gli occhi bordati di rosso nel raccontarla e ripercorrerla mi rendo conto di aver capito che è per persone simili che vale la pena di sopportare le file, le sfuriate, i cretini, le angherie, le delusioni gli orari inesistenti e tutto il resto. Ci sono ancora persone con l'umanità di un animale, prima o poi le incontreremo; è per loro che ha senso continuare a mettercela tutta, col cuore.
Un Presidente del Consiglio che fa battute sconvenienti e fuori luogo sulla Cancelliere di Germania, la quale peraltro risponde per le rime, rime al vetriolo, facendo notare tutte le vane promesse di qua. Un direttore del primo tg nazionale che con i soldi pubblici parla in un editoriale sulle intercettazione di "povera vittima mediatica" facendo qualcosa molto più simile alla propaganda che all'informazione. Un L. Prothero in carne ed ossa. Chiude "Parla con me" di Serena Dandini, altro giro altro bavaglio. Si tappa la bocca ai pochi barlumi di intelligenza e di libero pensiero, critico o meno che sia, per non rischiare che la scatola che rende scemi non faccia mai rischiare di avere per spettatori qualcosa di diverso dai vegetali. Lobotomia. Apre un centro associativo di forze di estrema destra. Dichiaratamente tale. Nessuno dice nulla.
Vivo in un paese di cui mi comincio a vergognare di fare parte. Non vedo soluzioni: ovunque si guardi è la stessa merda. Tutti indistintamente pensano solo a salvarsi il culo ed i pochi che potrebbero portare un po' d'aria fresca sono costretti a volare oltreconfine portando quella speranza preziosa d'ossigeno con sè. Non c'è scampo. Siamo già sul filo del baratro, ci spingeranno giù e scenderanno, chi sarà più furbo, al volo dal barcone mentre noi guarderemo impotenti e rassegnati, forse addirittura inconsapevoli, mentre facciamo la fine dei topi.
Mi fa schifo. Vorrei poter fare qualcosa, ma qui il bravo ed onesto cittadino finisce solo per far da capro espiatorio; parente alla lontana che si ritrova a pagare i conti per le denunce degli altri. Il guaio non è che ci si rimette solo di tasca propria. Il guaio è che non basta.
Mani basse, incapacità, rassegnazione... SCHIFO.
Siamo sempre più in regime, siamo sempre più in mano a fraudolenti delinquenti (frase assolutamente trasversale). L'unica soluzione per me riverbera in quest'eco...
Sulla falsa riga di un vento di cambiamento, sulla sua scia per meglio dire, mi sono scoperto a riflettere. Giorni strani e complessi gli ultimi trascorsi, durante i quali è emersa una necessità di stabilità, di regole, di ordine ma soprattutto di determinazione. Ho un assoluto bisogno di mettere bene a fuoco gli obiettivi e ricordarmi ogni giorno della volontà di perseguirli. E' facile fare progetti e annusare un profumo di novità. Ma un cambiamento consistente necessita qualcosa di ben più vivace di qualche refolo. Urge una tempesta, qualcosa di meno freddo forse di una bufera e meno devastante di un uragano ma senza dubbio altrettanto foriero di ricostruzione.
Per farlo ho già acquistato un poster su cui scrivere frasi motivazionali mentre, con lo spirito di rinnovato adolescente che ha tanto da imparare e con la voglia di tornare a quando le cose forse erano semplicemente un po' più facili, ho preso un diario da liceale per i progetti da gestire e le cose da ricordare.
Ogni giorno qualcosa.
Imparare una lezione di vita al giorno; imparare una cosa nuova ogni giorno; contemplare il cielo; essere responsabile delle conseguenze delle proprie scelte; studiare studiare studiare; tenersi in forma; etc.etc. ...
elenco lunghissimo di propositi che neanche a capodanno se ne fanno di così tanti e tanto infantili. E' tempo però di ripartire. Non credo si possa tornare all'inizio. Non si può cancellare tutto quanto è stato e anche solo desiderarlo è una sciocchezza, una perdita di tempo. Si può invece stabilire una altra partenza, un nuovo inizio. Talvolta è bello avere una seconda occasione. Certe volte la seconda occasione si tratta solo di volerla, di costruirsela.
E anziché buttarsi in balia del vento spiegare le ali e solcarlo; e anziché attendere le folate sbattere le ali, o quantomeno accendere un ventilatore.
Fa caldo. Toh! è estate e fa caldo.
Certo, è proprio un caldo orrendo afoso e appiccicoso come colla calda lungo la pelle, ma siamo ad agosto. Bisogna ammettere che negli anni scorsi in questo periodo scrosciavano acquazzoni e se sotto era costume ed infradito, il torso aveva su una felpa leggera o una maglia di cotone a trama larga che difendeva appena dalle raffiche di vento, ma trasmetteva grande calma associata all'odore di terra bagnata e salmastro infuriato... Ma è pur sempre estate! e d'altra parte adesso fa molto freddo ancora a Marzo...
Più che lo storico (mi perdoni il cielo per quanto sto per scrivere) "non ci sono più le mezze stagioni" mi sembra semplicemente stia slittando un po' il tempo. Che in fondo nei tempi antichi si seguiva la luna e le temperature e non si pianificava di certo il giorno e l'ora per i festeggiamenti.
Su tutto però ribadisco i miei ruggiti: a me il caldo non piace anzi mi fa proprio cagare. Sudo pure a dicembre con la neve. Luglio e Agosto sono per me una anticamera degli inferi. Se non è mare per me è stasi, fatica, acquitrino indossato.
Quindi per me essere adirato è normale in questi giorni poiché scorrono le ore nell'anti - me. Ma amo l'autunno, i colori di mille sfumature della caducità delle vite nel susseguirsi del rinnovamento. Amo la pioggia ed il vento, le intemperie... fate nevicare poi e sarò un bambino!!!! fare a pallate di neve a mani nude, tagliate, bloccate, ma oh! che gioia!
Non mi lamento del caldo, ma non lo amo. Non mi lamento del freddo e tantomeno della pioggia (salvo fumetti o libri in uno zaino di tela, ma è un caso), che invece adoro.
Qua invece se la vita non è condizionata è una lamentela continua: troppo caldo, troppa luce, troppo umido, troppa pioggia, troppa neve, troppo nuvolo, troppo esposto ad est... Che due palle!!! Spero l'umanità vada a crepare in un clamoroso serbatoio a temperatura controllata a vita e mi lasci il bello di fronde slamastro e grano bagnato.
Inoltre a tutti quelli che invocavano l'estate: gioite adesso perdio! non lamentatevi come quando invocavate a Novembre l'estate perché pioveva. Su tutto, pre favore, sparatevi. Prima nelle rotule, poi allo stomaco. Quindi state lì e attendete la fine che dolorosamente vi spetta.
Grazie!
La vita va avanti. La vita di tutti, anche la mia. Solo che credo così poco nelle mie capacità e ho così poco interesse nel primeggiare, nel fare le cose per me stesso, che lascio i passi importanti al palo, immobili.
Così perdo momenti importanti, miei e altrui; così mi scappa ancora la vita di sotto e quando stringo per un attimo ottengo solo ustioni sui palmi, ché la vita scorre veloce qui accanto.
Non ne posso più di tenermi eterno spettatore dei momenti degli altri, di essere ai margini dei ricordi di quasi tutti, di provare nostalgie per chi forse nemmeno mi ricorda più o poco più che una macchietta...
Vorrei tanto rivedere e reimpastare le mie priorità, ma non riesco a prescindere da me stesso e fiunisco per scegliere la strada più comoda dell'autocompatimento.
A fuoria di sognar di quando spiegherò le ali cresce in me il timore di stare disimparando a volare.
Non avrei voluto scrivere quel che sto per scrivere, davvero, ma il fremito lungo la schiena che mi pervade è irrefrenabile. Non ho qualcun cui telefonare al volo per sfogare questo senso tra lo schifo e l'indignazione. Lo faccio qui.
Gira voce da tempo che aziende e affini spiino i social network e internet in genere per valutare le persone da assumere, finendo col mescolare gli aspetti privati della vita con quelli lavorativi. Competenze che non sempre, anzi quasi mai, dovrebbero venire a toccarsi.
In fondo cosa uno faccia al di fuori del lavoro sono fatti privati e non dovrebbero andare a minare la valutazione di una professionalità che, a discapito delle eventuali nefandezze private, potrebbe essere irreprensibile.
Tuttavia devo ammettere di avere dei limiti e non averne altri. Così se mi ritrovo a capitare sulla pagina di un vecchio amico per degli auguri di genetliaco scoprendo che riceve "camerateschi auguri" e festeggiamenti a "duce" e "camicia nera" rimango non poco perplesso.
Perplesso della sconvenienza, visto quanto detto sopra, ma anche perplesso di come possa ancora usare un saluto e una complicità che oltre che potenzialmente pericolosi, visto come il tema viene inteso spesse volte qui in Italia, risultano anche un poco anacronistici e fuori luogo. Perché inneggiare a qualche fede per augurare buon compleanno? Fosse anche una squadra di calcio o una divinità delle tante tra gli uomini domando: che c'entra?
e non trovo risposta plausibile!!!
Peraltro mi trovo stupito di me stesso di pensare che allora forse non ha torto chi valuta preventivamente sul web. Non avrei problemi con persone dalla sessualità variegata od aperta, ma penso ne avrei con estremisti di qualsivoglia religione, così come di invasati generici o specifici. Se dovessi assumere, penso vorrei avere al mio fianco persone aperte al dialogo e disposte a mediare e quasi certamente partirei prevenuto verso certi estremi di vita e filosofia. Contestualmente eseguirei a mia volta una scrematura basata sul non dialogo e la chiusura mentale, cadendo in contraddizione.
Che fare dunque? è giusto abbandonarsi al preconcetto così da scremare abbandonando l'imparzialità, ma andando a ricercare persone più affini a certi approcci ideologici? Sarebbe invece più equo trascurare questi dettagli e concentrarsi sulla professionalità e basta?
So solo che certi discorsi li aborro a sufficienza da non volermici trovare e so anche che certe esternazioni mi provocano orripilazione del pelo sistematicamente. Il mondo mi diventa sempre più incomprensibile. Una delle poche cose che capisco è che mi diventa sempre meno gradito trovarmi di fronte a situazioni simili e soprattutto a dover cercare anche solo per un attimo di capire.
Ci sono persone con cui condividiamo molti momenti, periodi interi a stretto contatto addirittura. Convivenze scelte o forzate che ci portano a dividere il tempo assieme anche quando potresti pensare di non volerlo.
Pesone o situazioni insomma che pensi tireresti un sospiro di sollievo quando sopraggiunge il distacco.
Poi invece ti scopri perso. Sin dai primi istanti la distanza presa pare troppa, qualcosa per cui avrebbe molto senso permere indietro veloce sul mangianastri del tempo, se mai ne esistesse uno.
Si può scoprire talvolta di sentire una mancanza clamorosa ed opprimente sin da subito quando ci si stacca da persone con cui tutto scorre così naturale e quasi scontato che penseresti di trovare una variazione alla routine e con essa sollievo. Invece no. E' solo mancanza, senso di oppressione che pigia sul petto, come una palla in gola che gonfia e fa trasalire e sudare gli occhi. Nostalgia, malinconia...
Non si è portati a dare il giusto peso alle persone d'intorno e ci si trova a capire quanto qualcuno conti davvero per noi solamente quando si allontana da noi, quando non si sta così bene come si immaginava o come raccontano, o si vuol far credere...
Quando qualcuno manca così tanto ed inaspettatamente, quando non è un luogo o una frase a ricordare un legame ma è la non presenza concreta di quel legame a indurre tal sentimento, allora si dovrebbe constatare che si tratta di famiglia: quando manca la presenza di qualcuno solo perché è perfettamente giusto così, che si stia assieme, che si divida una vita si è di fronte a persone talmente importanti da sentirsi a casa; si è una famiglia. C'è chi famiglia non capirà mai cosa significhi e cosa comporti, ma per chi può capirlo ecco la riflessione: Se condividi l'esistenza con qualcuno sentendolo così vicino a te quello è un legame equipollente a quello sanguigno. Tienilo stretto e amalo.
Talvolta ovviamente la famiglia che si ha attorno, creata dalla vita, negli incontri, nei legami è la stessa unita dalla genetica. Talvolta è affinità, talvolta è ingranaggio. Qualunque famiglia abbiate intorno non dimenticate mai di apprezzarla: potreste scoprire quanto l'amate un attimo troppo tardi...
Grazie alla mia famiglia, mi ritengo un privilegiato ad avere legami da sentire talmente solidi.
In certe professioni, in un mondo tanto frenetico, è fattore essenziale per sopravvivere ed incastrare tutto.
Ma nella vita le pianificazioni, le aspettative, quasi tutti i castelli in aria che un sognatore si costruisce finiscono per crollare o per lo meno non collimare. E' raro le cose vadano esattamente come ci si era immaginato.
Beh, nei giorni ho imparato una lezione preziosa: é bello così.
E' bello perché alla fine questa è la vita, il suo spettacolo: la sorpresa.
Se si riesce ad apprezzare le sorprese, a non lasciare da subito spazio alla delusione e non mettersi immediatamente a confrontare... se ci si offre l'occasione di vivere la realtà e lo si fa dalla giusta prospettiva si può incappare in grandiosi sorrisi, in attimi ancor più preziosi.
La vita talvolta è uno scrigno ben più ricco di quanto si sappia vedere. Sarà che è incrostato di merda, ma a sapersi svegliare col piede giusto si può trovare la voglia di raschiare.
Mi rendo conto che spesso sono stato io stesso a voler notare l'aspetto fallimentare delle vicende piuttosto che scorgerne l'aspetto piacevole; parimenti sono spesso io a vedere un aspetto divertente o piacevole in cose che per altri sono pratiche da sbrigare.
Insomma, è certamente lecito voler tenere sotto controllo qunato più possibile ciò che ci circonda, come una gigantesca marionetta con centinaia di fili da tirare. E' tuttavia sconveniente pretendere che ogni filo si muova solo secondo la propria volontà e soprattutto non siamo autorizzati a coinvolgere la realtà con la nostra fantasia, paragonandole. I nostri ideali forse dovrebbero servire da stimolo, obiettivo e spunto; mai usare la mente come termine di paragone.
Dovrei scrivermelo su tutti i muri di casa...
Negli ultimi post scrivo ambiziosamente di risposte.
Non vorrei venir travisato, quindi brevemente chiarisco. Non è certo intenzione di chi scrive offrire risposte che vadano bene a tutti, anzi non è certo intenzione offrire risposte. Le risposte di cui nei giorni addietro non sono proposte con l'arroganza di qualcuno che crede di avere le risposte per tutti o le risposte giuste.
Ho scritto, trascritto, alcune delle risposte che trovo alle mie domande; a domande che con anime affini ci poniamo per stimolare una ricerca continua dell'amore, dei sogni, delle commozioni che rendono speciale una vita.
E' un confronto volto a tenere alta la curiosità e viva la concentrazione. Non arrendersi dal cercare, dal sognare di trovare.
Le risposte sono state una risposta pubblica e rileggibile ad alcuni di questi stimoli. Rappresentano il mio pensiero a questo punto del cammino, la media pesata o quasi delle esperienze fin qui.
Lungi da me voler spiegare agli altri elementi di una vita che a stento riesco a capire io! No.
Ma come tutti ottengo elementi di giudizio e su quelli mi baso per andare avanti, via verso il passo successivo e quello ancora dopo.
Se poi qualcuno trovasse condivisibili alcune parti del mio pensiero e ne traesse spunto per portare avanti il suo personale cammino, beh! sono contento di aver aiutato qualcuno.
Ma tutto questo, ancora, è un corollario. Queste pagine virtuali raccontano parte delle mie vicende e dei miei pensieri. E' la mia finestra sul mondo aperta per voi. Nessuna pretesa che sia la vostra finestra nè lo diventi.
Mi è stata posta la domandona in merito. Trascrivo le supposizioni uscite giusto per dare spunto a qualche conversazione.
Per questo post di ferie è gradita, anche postuma, la dissertazione.
senso della vita, se fosse così facile capirlo o meglio definirlo saremmo a cavallo!
Non saprei dire quale sia, so che mi affascinò un libro di Richard Bach in cui si parlava di più vite (diciamo dando per buona una teoria compatibile col multiverso "a schiuma") durante ognuna delle quali c'era un qualcosa di nuovo da imparare per la nostra anima: una volta l'amore, una volta il dolore, una volta a parlare alle folle e così via...
Personalmente credo che sia sbagliato l'articolo determinativo: non penso esista IL senso della vita, univoco, assoluto, universale credo però fortemente ognuno possa dare un senso alla propria di vita. In tal caso, allora, il senso della vita sarebbe trovarlo.
Per quel che riguarda la mia vita attuale ho sempre pensato la cosa da imparare fosse riguardo ai legami personali, incontrare la mia metà (so che c'è, fin da piccolo). Ma forse è vero il contrario, quello è un prerequisito e dovrò imparare a perseguire me stesso anziché l'essere accettato dal prossimo.
In tutto questo vagare ho scelto come senso prevalente nel mio esistere quello di collezionare emozioni e di mettere passione in ogni cosa facessi, sia pure preparare uno scherzo o organizzare una cena: dare il massimo sempre, metterci il cuore.
Usare il cuore se tocchi un albero o ti ci arrampichi, usare il cuore quando vai a pesca, usare il cuore quando tratti una persona o un animale; ringraziando sempre perché è nutrimento, sostegno, interazione.
Sto cercando d'imparare che la mia forza è insita in tutto ciò che mi è intorno e solo poi in me.
... e forse è questo il senso della vita (uno dei): vivere sentendosi in armonia.
Ieri era San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti.
Secondo tradizione, si può esprimere un desiderio per ogni "stella" e questo si realizzerà.
(rights for the song and the singers of their own)
Ora, ho sempre creduto che se un desiderio lo esprimi intensamente e ci credi, questo prima o poi si vedrà concretizzato. Non so quanto conti davvero il fattore pezzo d'asteroide che s'incendia a contatto con l'atmosfera, ma a me è capitato più volte. Penso sia fondamentalmente una questione di dedizione: se il desiderio espresso è qualcosa di davvero realizzabile e qualcosa in cui si crede, saremo noi stessi a tentare di farlo avverare. Al più ci potrà essere una forma di magnetismo etereo che ci aumenterà un poco le possibilità di concretizzazione. Come dire, se perché un sogno si realizzi serve il 50% di fortuna, beh! magari la stella cadente ci dona quel 5-10 % in più che non guasta mai.
La cosa invece che più mi preme vagliare nasce da FaceBook, questa nuova trappola per vite, una frase di un Fb-friend: "stanotte proverò a vedere le stelle cadenti, chissà se riucscirò a vedere tante stelle quanti sono i miei desideri".
E' bellissimo avere dei desideri.
Ma leggendo quelle parole sono stato assalito dal dubbio: abbiamo davvero così tanto bisogno di traboccare di desideri?
Se il desiderio è la necessità di qualcosa, allora sperare di vedere stelle a sufficenza è sintomatico di mancanza di pressoché tutto. Possibile?
LA civiltà ci rende sempre più schiavi delle necessità ormai. Ma cosa è realmente necessario?
Ho sempre pensato non ci fosse limite al perfettibile ma che di fondo servisse poco per essere a posto: giusto la felicità. Di certo non si trova nelle necessità da stella cadente specie se se ne hanno tante. Trovo anche pretenzioso avere una lista di desideri quando già troverei meraviglioso se ne avverasse uno.
E' una deriva dei sogni questa ormai, dove probabilmente si sogna il 42" fullHD anziché delle ali per volare sui paesaggi ed inebriarsi di vento e paesaggi.
Stiamo a naso all'insù colmi di desideri senza focalizzarci su quanto di buono abbiamo già. Siamo in balia delle onde in direzione dell'isola di Mediocrità?
Ci penso e ripenso; ci ho pensato tanto a lungo. Alla fine, quando si parla di compagna, ci si infatua di persone diverse, talvolta distanti, qualcuno da cambiare. Un confronto: se ne può risultare dominanti o sottomessi ma pur sempre di quello si tratta. Per avere qualcosa in più io voglio accanto una persona come me. Non alludo a stesso carattere o tipo di vita. MI rivolgo al profondo: una persona con sogni ed ideali, principi che siano capisaldi e che siano condivisibili.
Le infatuazioni ci arricchiscono. Impariamo moltissimo dai confronti e dalle ferite, ci obbligano ad un confronto con ciò che non ci appartiene in uno scambio d'esistenze e noi lavoriamo per mediare e trovare compromessi. Ferite, ferite... ogni cicatrice una lezione. Ma qualcuino con cui dividere il resto della vita non sono certo potrebbe essere così. Bisogna essere mossi dalle stesse finalità e da ideali simili. Inoltre vorrei qualcuno che sia almeno al mio stesso livello di vita, come stimoli, come obiettivi. Ho così tanti sogni ed idee che divengono preoccupazioni. Ecco, mi serve accanto qualcuno capace di farmi rinsavire ogni tanto, ma che passi gli altri giorni a sognare con me. Ognuno i suoi desideri, ma entrambi sempre con lo sguardo all'orizzonte.
Per costruire una famiglia e perpetrare la specie, la "stirpe", serve qualcuno a cui ti sentiresti di affidare l'educazione dei tuoi figli con la fiducia che un domani guardandoli ritroveresti in loro le stesse scintille di vita che avresti profuso in loro a tua volta.
In questo senso cerco "qualcuno come me". Penso sia l'elemento di maggior valore desiderabile in un partner.
Questo post arriverà diversamente ad ogni persona che leggerà, sappiatelo sin d'ora. Ricevete quel che viene.
Ci sono ricerche per cui si potrebbe investire una vita. Sono ricerche che possono concludersi con una disfatta, spesso. Contestualmente si vive d'ebbrezze e slanci. Ci sono turbini incantevoli, Vortici per cui non si brama altro che perdercisi, farsi trascinare via dimentichi di sé. Talvolta si rotea talmente forte da raggiungere l'ottundimento della razionalità. Talvolta si rotea così dolcemente da produrre melodie splendide come un'oboe approcciata con maestria.
Per capire cosa davvero si vuole cercare talvolta bisogna porsi delle domande diverse, avere forse il coraggio di provare a demolire quello in cui si è sempre creduto o a ricostruire quanto si era devastato. Certe domande servono a vagliare la forza di noi e dei nostri ideali. Conoscerci meglio.
Nella mia ricerca, nel mettere a fuoco alcune cose mi interrogo su tutto. Da bambino sognavo accanto una persona con cui condividere tutto: sostegno vicendevole nei giorni, un incastro che rende ogni giorno una novità da scoprire e magari affrontare assieme. Nella tarda adolescenza questo desiderio, questa visione è stata affiancata dall'idea che la scintilla dovesse essere un innesco viscerale e appassionato che asservisse il sé al partner. Dedizione completa e incastro perfetto: una meraviglia. Teoricamente. Sì, perché la dedizione rischia essere eccessiva in certe persone. Come può allora funzionare una macchina a due se uno dei due ingranaggi è talmente dedito da essere smussato, liscio, privo di appiglio? O lo si è entrambi e si funziona come una frizione oppure non c'è davvero l'incastro.
Cosa voglio? Qualcuno di cui esser fiero e che sia fiero di me. Un sorriso al mattino che dia il coraggio d'affrontare il quotidiano, che trovi in me l'abbraccio a cui scaldarsi all'arrivo della sera. Mutualità. Essere felici. Semplicemente. In due. Una coppia credo funzioni davvero quando lavora così: nessuna prevalenza fissa, si rema a turno o assieme. Come su un tandem si coopera e ci si può sempre dare il cambio alla guida. Se ci si può dir tutto, se si è felici assieme senza sforzo per esserlo, se non si percepisce sacrificio, se ci si sente compresi, se si vedono i difetti e si ride con essi anziché irritarsi, se... Se tutto funzionasse così, se tutti i se di cui la fantasia è capace trovassero conferma, se l'ingranaggio fosse completo e funzionante ma mancasse solo quella scintilla irrazionale, se... E' possibile escludere a priori un elemento o l'altro della visione, della ricerca? e a posteriori? Una scintilla su ingranaggi sbagliati urla dentro, genera frustrazione. Sono dubbi che non si vogliono notare, talvolta in sembianze di "cambierà". Ingranaggi giusti senza scintilla invece lavorano incessantemente con grande dolcezza, nessuno stridore.
Credo in nessun caso si debba scordare che l'obiettivo sarebbe la simultaneità. Ma è anche vero che tutto ciò che non lo é (e si può sapere solo alla fine del viaggio questo) è ricerca. Bisognerebbe tenere a mente che focalizzarsi solo su un elemento dei due è arroccarsi su posizioni fisse. Testardaggine poco produttiva per chi compie le sue ricerche nell'anima.
Ci si può pensare o abituare a sentirsi lottatori. Grande è la gratificazione per qualcosa per cui ogni giorno si lotta, si combatte. Sentirsi precari: trascorrono i giorni nell'incertezza ed ogni conferma è fluire di sangue in vene che per un attimo sembravano inaridite. Una vita a singhiozzo. La gioia di qualcosa che si percepisce come costruito assieme è immane, imponente. Felicità. La parte egoistica e ammaliante della scintilla.
Essere felici. Semplicemente? In due?
La sorpresa talune volte sta nella temporalità e nell'imponderabile. Ecco così comparire la scintilla successivamente, quando ormai la macchina già è montata e a regime. Arriva un overboost che spinge più forte ingravidando le vele mentre si solca la vita. Ci si manca, ci si desidera, ci si preoccupa per niente e...
E arrivi ad intuire che fin che il viso accanto a cui ti svegli la mattina ti dona un sorriso che dura fino al mattino dopo o all'ansia scalpitante di rivederlo a sera, ultimo riflesso prima del buio, fin che ti scopri ogni momento felice è semplicemente felicità.
Essere felici. Semplicemente. In due.
nota: a pelle, manca una conclusione. Una conclusione, almeno, propriamente detta. Benché questo post supponga trovare risposte a domande inespresse qui, le stesse non vogliono essere una chiusa del dialogo. Non v'è pretesa alcuna di ragione finale. E' una riflessione, un check point durante la perlustrazione. Perché talvolta ci poniamo dei confini, dei limiti. Superarli è parte integrante del cercare. Tentare nuove vie. Un mio professore sosteneva che un buon ricercatore si mantiene sul seminato e aggiunge un tassello al limite precedente. Concordo. Ma questo è vero solo relativamente al perpetrare una strada. La rivouzione vera si fa con due cose: fortuna, coraggio di osare. Una volta accomulata la debita esperienza bisogna tirare fuori le palle e vedere oltre cosa c'è.
Ho cercato e trovato alcune risposte. Il risultato non sono altro che nuove domande. La ricerca continua. Le scoperte continuano, magari in un ingranaggio...
e guardati in faccia, in quello specchio. Sii onesto e ammetti la verità.
Questa canzone dei PLain White (loro i diritti di testi e musiche nel video)
non c'entra del tutto con quel che voglio dire ma la prima strofa offre uno spunto interessante fino al ritornello.
C'è sul blog un mantra, un proverbio cinese: "se hai vissuto saggiamente morendo non avrai rimpianti". Letto su GoldenBoy, fumetto di Tatsuya Egawa, e per me memento giornaliero, come alcuni follower già sapranno. A me piace maggiormente interpretare questo mantra ribaltandone l'ordine di letture Ovvero " se al momento di morire non avrai rimpianti significherà che avrai vissuto saggiamente". Certo, più che nessuno rimpianto, credo sia più verosimile parlare di pochi. Ma insomma, si tratta pur sempre di un proverbio e la sintesi è quantomeno necessaria, altrimenti si sfocia in una pantomima di "lettera ai Corinzi" di cui si fa volentieri a meno.
Ora, per tornare alla canzone, "devi guardare in faccia alla realtà - devi renderti conto che non è altro che un tuo sbaglio" e poi " avresti potuto", "non serve guardarsi alle spalle". Ecco queste parole credo siano fondamentali riguardo alla saggezza del vivere di cui sopra. E' fondamentale essere oggettivi ed onesti. Verso di sè, verso gli altri. Trovo prezioso essere consapevoli delle proprie scelte ancor più che essere coerenti con esse.
Di scelte ne ho compiute infinità, di continuo: ogni passo, ad ogni istante, compiamo una scelta. Tra tutte chi sa quanti errori! Io di certo moltissimi. Molti perpetrati ancor oggi; molti inavvertitamente, involontariamente. Ho sempre cercato di agire per il meglio od almeno nella tentata consapevolezza che quella scelta fosse la cosa migliore al momento. Non è mai venuta a mancare la buona fede. Ho cercato in tutti questi trent'anni di errori di valutare pro e contro di tutto, di pensare in anticipo, anche (megli ultimi anni, soprattutto). Tanto da sentirmi dire che mi preoccupo troppo, che sono un paranoico. Vero talvolta. Spesso inesatto: cerco di sapere cosa sto facendo, sempre. In modo da averne coscienza e potermene assumere la responsabilità. Ho sempre una scusa pronta, ma raramente è uno scarica-barile; spesse volte mi capita di aver già fatto una analisi preventiva e sapere quale fosse il punto debole in anticipo. Alcune volte lo cerco. Questo però è solo una assunzione di responsabilità soggettiva. Non è esente da ferire o compiere errori. Se ne fanno, non smetteremo mai. E' giusto tenere a mente che per ogni sventura avremo sempre qualcosa per cui domandarci "e se?" e ci sarà sempre un qualcosa per cui attribuirci la colpa. E' quasi sempre colpa nostra (quando non è comodamente "di Teddy"), potrà sempre essere andata diversamente. L'importante credo sia non solo averne coscienza ma saper trarre da questo la capacità di rassegnarsi ed andare avanti, senza tanti ripensamenti o dubbi ma con piuttosto il desiderio di porre rimedio, quando possibile.
Si può investire energie nei rimpianti per la strada percorsa oppure le medesime energie possono impiegarsi nel ricostruire quella da venire.
Sensazioni, quasi emozioni. Queste le cose a cui sono andato in contro e tutt'ora vado durante il recupero della mano. Mano di cristallo, svuotato l'osso del midollo né ancora del tutto stabile la frattura. Mano dolente che il chiodo era avvitato e hanno dovuto martellare a più riprese per estrarlo. Mano da oltre due mesi inviluppata in una trappola desensoriale. Tutto nel mio quotidiano è stato una riscoperta, una novità del qualunque, in questa settimana: la prima sensazione straordinaria è stato il calore del volante al sole contro al palmo della mano. Era davvero così percepire il tepore? un brivido che distende ogni fibra e si espande pian piano, risale fino alla spalla. Dolce scivolare, ricorda la primissima carezza ricevuta da una ragazza. Suggestione che scuote lo stomaco e il petto. Poi è stata la volta dell'acqua. In forma di doccia o solo di sciacquata sotto un getto veloce, ogni volta è un contatto sublime. Il flusso avvolge completamente ogni millimetro e poi scappa via. Lambisce porzioni di mano di cui il gesso aveva cancellato la memoria. I rivoli sorprendono ogni volta cambiando percorso all'ultimo, imprevedibili, raccontano storie sempre nuove alla mia pelle e starei ore ad ascoltarli.
Scrivere su carta è ancora impresa ardua perché la muscolatura è ben lungi dal recupero pieno, dalla scorrevolezza, dalla sicurezza del moto. Arriverà.
Oggi è solo emozione tattile di riscoperte e nuove lezioni. Le interazioni della mia mano destra non sono più solo tentativi di recupero ma sono autentiche rivoluzioni interiori come un bambino che gattonando esplora l'universo alla sua portata. Mi ritengo fortunato non solo di riavere l'uso pieno di entrambe le mani, ma di avere una mano capace in questi giorni di apprezzare la consistenza, la ruvidità anche minima, i tentennamenti che ogni oggetto o persona possiedono. Debole e fragile perlustra il mondo a sua disposizione e me lo narra con occhi di cui non avevo memoria: gli occhi del buio.
Sarebbe una maschera. Non necessito, tanto chi ce vò male ha rivelato la sua iniqua essenza nell'istante in cui ha preso ad augurarcelo.
Mi basta alzar il calice a me stesso per deridere chi mi vuol male.
nuova filosofia: il solo fatto che io esista è sufficiente ad eclissare talune persone, come il sole brucia gli sterpi e costringe sotto le pietre le serpi.
La fisioterapia è sempre un gran confronto con sé stessi. Si tratta di riscoprire, meglio, imparare di nuovo che già si sa. Ora, reimparare a camminare, correre, saltare è già complesso ma una parte di tal movimento è di controllo subcosciente, non volontario. Come dire "prima di lasciare che ci sfracelliamo al suolo il cervello cerca di metterci una pezza". I gesti della mano dominante sono un altra cosa: qualunque riflesso scatto o impeto si effettua con essa. Due mesi e chissà quanto di mano destra immobile hanno portato nuove lezioni e nuove frustrazioni. Sto scrivendo su carta in questo istante. Penso parole, gesti, forme che si imprimono nere e vivide sul fondo candido appena organizzato in quadretti sbiaditi. Niente è come pensato:il risultato grafico e motorio è ben lungi dal ricordo che avevo del mio scrivere. Il polso non accompagna , la mano non scorre. E' tutto un lavoro di dita, anch'esse fuori tempo, e di spazio. So scrivere e giocare con le parole ma il mio corpo non si ricorda più come farlo. Gli anni spesi ad affinare i gesti nel tentativo di dare alle parole che fluivano dalla mia anima un aspetto che si canfacesse alle aspettative ed ai sentimnti che vi profondevo sembrano di colpo dissolti. Organizzare i pensieri in vista di un esame sembra oggi impresa epica: anche una sottolineatura o una freccia richiedono sforzo e concentrazione. Prendo appena oggi coscienza delle difficoltà a cui realisticamente andrò in contro.Anche se può non sembrare, non saper più compiere i gesti che si compiva poco prima, trovarcisi faccia a faccia concretamente e non col solo immaginario è davvero arduo. Mi ritengo già così fortunato a riuscire almeno a produrre simboli comprensibili con una fluidità di qualche tipo... Ogni attività sarà una sfida. L'aspetto meno affascinante è che sono montagne già scalate. La sfida tuttavia sarà tornare a dove ero e non un miglioramento. E' importante non darsi per vinti e lasciarsi logorare dalla fretta o la mancanza di risultati evidenti. Sarà un lungo cammino; sulle mani.
Sopravvivo ai giorni. Sopravvissuto più che altro. Ancora la sensazione che la vita sfugga via come un refolo di vento tra le dita passa vortica e sfiorisce, abbandona.
Devo coglier l'attimo, afferrare la vita e riprendere tutto quello che ho lasciato lungo la via, sfuggito alla presa per un abbaglio.
Devo riafferrare il tutto. Dovrò reimparare a tenere stretti i pugni: ben alta la guardia ben salda la presa e stavolta voglio che sia davvero. Una volta che avrò i miei sogni in pugno non mollerò la presa fin'oltre a che mi sanguineranno le dita. Non lascerò che l'oblio provi ancora ad inghiottirmi, mi arrampicherò fino alla vetta, a costo della mia vita.
Si tratta di quelle cose che inspiegabilmente si sanno prima di averle studiate, conosciute, affrontate. In molti casi, come per gli animali ad esempio, si riduce e ricollega all'istinto: il puledro che sa già alzarsi in piedi e suggere da neonato, alcune attività di caccia di base in alcuni predatori, alcune fobie.
esistono poi erò altre cose che si conoscono e percepiscono prima che se ne abbia conoscenza razionale: sentimenti, motivazioni, obiettivi... talvolta persone. Nel mio caso è una canzone, per certo. Ogni volta mi commuove se la penso nel buio della stanza, da sotto le coltri. Mi fa sentire triste, nostalgico ma contemporaneamente al sicuro. E' un incanto. Non saprei come altro descrivere questa sensazione.
La cosa più stupefacente è che è una canzone che di norma non ascolto e non ho mai ascoltato. La prima volta che ho messo il disco su, scelto bene il solco tracciato nel vinile, è partito il riff di chitarra ed io già lo anticipavo: ne conoscevo l'andamento e le note, gli stridori e poi il testo lo conoscevo già abbastanza bene da poterla cantare.
Ne avevo già coscienza ma ancora non ne avevo fatto conoscenza. Almeno non prima della nascita. Come facevo a conoscerla? Era la canzone che suonava nel giradischi di casa mentre mia madre era incinta di me. Così il suono della chitarra riverberava nel liquido amniotico e mi nutriva i pensieri e la memoria prima ancora che fossi al mondo.
Siamo più permeabili al mondo di quanto mai ammetteremmo. Dovremmo ascoltare il vento più spesso per scoprire che quella brezza è gia parte di noi.
Un sorriso cullato tra le braccia. Ho un ricordo di prima che nascessi. Grazie madre.
Talvolta è molto facile. Nel mio caso c'è voluto un po'. Ho fatto male ad alcune persone e ne ho subito da altre. Per ricordarmi chi io sia è servita un'estranea sentita per un attimo molto vicina per un frammento vissuto molto simile a quanto patii io col gattino un anno e mezzo fa.
Ripensare alle cose brutte è difficile, specie se è associato a fallimenti o momenti analoghi. Però "è dalle situazioni spiacevoli che si impara di più" ed è decisamente vero. Ho sempre avuto alcune risposte, ma le avevo scordate recentemente.
E' sempre saggio vivere le cose, perché ci sarà sempre una lezione, perché almeno ci sarà qualcosa da ricordare e una storia da raccontare. E' esperienza, è crescere.
La vita, le scelte fatte, chi sono io, non devono essere messe in discussione. Non intendo l'inamovibile presunzione di essere perfetto, intendo che nel bene e nel male ciò che sono è il frutto di trent'anni di avvenimenti ed esperienze. E' fondamentale mettersi in discussione, ma è sbagliato farsi scuotere da inezie o parentesi o dar loro in generale troppo peso.
Dovrei ricordarmi più spesso di quegli occhietti trasaliti in cui di colpo è tornata la vita. Dovrei vivere sempre portando nel cuore in bella vista cosa siano la vita e la morte. Ho avuto la fortuna, se così si può dire, di trovarmi coinvolto in situazioni dove queste due facce della medaglia erano là in prima persona. Non mi paragonerei a una persona in una guerra, o un rianimatore, ma credo di aver toccato queste cose un po' più della gente comune.
Se la morte è una spada di Damocle perennemente sulle nostre teste, sempre pronta a tirare la beffa, la vita è qualcosa di assoluto: la forza con cui esplose quel miagolio non è definibile, sembrava una eco proveniente da chissà dove; non era flebile, non era progressiva, era tutto e in un istante, un ruggito, una esplosione. L'energia racchiusa negli esseri viventi va oltre l'immaginabile. Averne intravisto la potenzialità non serve a sentirsi avvantaggiati o migliori. La sola cosa a cui potrebbe servire, sarebbe rendersi conto del giusto peso delle cose. Se a trent'anni sono riuscito a percepire la vita, allora tutte le scelte non erano poi così sbagliate, tutto quello che ho dentro non è poi così discutibile.
Sto sempre a compiangermi, ma non è così che si può fronteggiare il mondo. Permettere che ci facciano chinare il capo è imperdonabile. Io tendo a concedere questa possibilità a troppe persone. Fa parte di me e probabilmente non smetterò di farlo, ma assolutamente mi sento un idiota di prima categoria. Perché sminuire chi è meglio di noi o chi non siamo in grado di capire un modo di tutela del sé, lo so bene. Ho impiegato anni per imparare ad ammettere le mie invidie. Dovrei ricordare che c'è chi non lo sa fare, che c'è chi anziché sentirsi motivato da persone che possono arricchirlo scappa o distrugge. Permetterlo è da stupidi, è stupido regredire, è da idioti farlo e mostrarlo a chi ci conosce meglio: li ferisce.
Grazie. Grazie di cuore a tutte le persone che negli anni hanno provato e proveranno ad affossarmi, a svilirmi, a farmi sentire un cretino. Perché sono il primo a sentircisi, sono un fallito ed un inconcludente, perdo di mordente e tendo a vedere le cose come disfattista e rinunciatario. Criticarmi non fa che rendermi più triste e di conseguenza a farmi crescere, a far crescere quel poco di buono che ho in me, come il senso del valore della vita. Grazie, perché ogni volta che riesco a ricordarmene, a guardare al lato minuto di me non tinto di melma color della pece, mi sento un po' meglio perché vedo le cose da un altro punto di vista. Vi osservo per la vostra vera rilevanza. Grazie.
Trascrivo uno stralcio d'una conversazione. Un ricordo di cos'era il luogo dove sono cresciuto. Credo di averne già parlato per cui vi sembrerà un po' nenioso. Ma credo anche d'aver aggiunto qualche elemento in più. Forse si sente l'influenza di Baricco, ma nonostante Oceanomare mi abbia fortemente colpito, queste sensazioni erano in me sin da piccolo quando ancora lui doveva immaginare di scriverle. Coincidenze. Forse è solo il mare a raccontarsi così ad alcuni di noi.
- paese natio, parte seconda: Come ti dicevo, casermoni tutti uguali i palazzi, quadrati, grigi, diroccati. Le persone similmente hanno spesso l'animo un po' così, fatiscente e rassegnato. Adeguarsi, perdersi nel flusso della vita, a 18 anni a me sembrava assurdo mentre per quel posto era normale, il massimo dell'ambizione. Se nel tempo ho imparato la grandiosità del saper essere normali, l'accontentarsi l'ho capito davvero poco: preferisco soffrire, patire e provarci anche oltre il limite piuttosto che prendere situazioni di comodo che mi facciano passare senza intoppi i giorni fino a che svanirò. Sarà un'ambizione da poco, ma volere una vita come la vorrei e lottare per averla mi sembra importante. ... il paesino, già! beh, si sviluppa in orizzontale, lungo la costa. D'estate raccoglie folle presuntuose della grande città ma burini senza pari nell'essenza. D'inverno è la desolazione ti case vuote e cieli grigi; la maggior parte delle persone ha il color del cielo. Certo, qualcuno di simile ho avuto il privilegio di scoprirlo e conoscerlo, ma eravamo scampoli di lavorazione.
Però c'è il mare. Il mare d'autunno: distesa mai uguale che si tinge del cielo fino all'orizzonte, si fonde con esso. E' come se avessi poco oltre la battigia un cielo liquido e consistente che oscilla e roboa dinanzi a te. E' un colore profondo ed insondabile, anche: i riflessi a specchio delle giornate senza sole rendono il mare senza fondo, come se potesse inghiottirti nell'infinito, nel tutto, nel nulla... Era ed è il luogo dei sogni e della disperazione. Quando tutto sembrava finito là, al paesino, ai confini troppo stretti per speranze da mulini a vento e draghi, andare al mare era liberatorio. Anzitutto le lacrime rispetto alla vastità del mare eran poca cosa, insignificanti, e ti rendevi conto della tua reale, minuscola dimensione. Poi il mare, così sconfinato era come la soglia al di là della quale si poteva trovare il tutto. Quasi che dietro la linea dell'orizzonte ci fossero tutte le possibilità di una vita. Così i sogni potevano cavalcare quelle onde e perdersi là dove avrebbero potuto trovare coronamento o almeno sfide alla loro altezza.
C'era il mare, tutto sembrava ancora possibile. C'era il mare e sono riuscito a non smettere di sognare.
E' tempo di maturità. Mi cimento molto scherzosamente, anzi per nulla, in una analisi di testo. Dico per nulla perché non ho la minima intenzione di far scansioni metriche o studio delle figure retoriche. Mi hanno fatto conoscere una canzone e nei giorni e nei riascolti più pensieri si sono assiepati nella mia mente. Voglio condividerli, sperando un giorno di rileggerli trovandomi cresciuto.
(I diritti relativi alla canzone sono come sempre di Daniele Silvestri e dell'etichetta che li ha prodotti. Per le canzoni di Guccini e dei Mao diritti loro)
Se sarebbe facile vederci altre persone elevandosi a giudici, io mi sono trovato in una situazione scismatica. Credo la prima parte rifletta molto bene alcune persone, me compreso.
"Quello che faccio e che continuo a difendere" esiste eccome. Dietro le scuse che spesso poniamo quando con altri non c'è solo sicurezza delle scelte, ma anche tutelarsi dalle critiche. Ci si racconta che i propri gesti siano quelli giusti, quelli a cui dare ragione. Talvolta si perde fette di razionalità lungo la via e ci si impantana...
Nota molto vicina, ancora, è poi "non ti fidi di niente, neanche di me"; mi sono rivelato un discreto misantropo negli ultimi anni e soprattutto nelle relazioni ho serrato nel profondo la capacità di fidarmi, cedere le armi e abbandonarmi. Le ferite subite ogni volta che l'ho fatto mi hanno reso perennemente dubbioso e diffidente. I risultati non sono poi stati gran che: ho finito col ferire, col non vivere appieno.
"Non funzionerà mai se non funziona così com'è e non migliorerai se ti ostini ad attendere come acqua stagnante non c'è nessuna corrente dentro di te (e non ti puoi nascondere)" Sono parole che mi sono sentito rivolgere, sebbene in parafrasi, neanche troppo tempo fa. Ma interrogativi me ne pongo eccome: Se non funziona così com'é non servirebbe almeno un tentativo per cambiare? e soprattutto così com'è è veritiero o è una fase? Mi sembra semplicistico... Devo invece amaramente concordare che di corrente in me ce n'è poca e se c'è é comunque alternata. Mi lancio solo in determinati progetti o momenti ma tralascio il tutto; in certe cose non ho minimamente slanci od entusiasmi. Dovrei senza dubbio imparare a rendermi attivo, non affidarmi ad attese o correnti. Va da sé che questa è una frase valida verso molti individui se slegata: qualunque convinzione inamovibile è criticabile. Così chi si sente nel giusto di una scelta e confida di star agendo bene si affida parimenti ad una corrente inesistente.
Di certo tutta questa prima parte la troverei una insopportabile lettera d'addio, un po' come anche "Vedi Cara" di Guccini in cui si respira un senso di ineluttabilità, di irrimediabilità piovuta dall'alto che di tutto parla men che d'amore. Sarebbe invece bello fosse lo spunto per far ripartire, per smuovere dalla attesa stagnante.
Ancora, mi vien da pensare, buffo, che magari si può definire stagnante chi stagnante non lo è in molti campi e si attarda su altri poiché solo quelli si vedono (o vogliono vedere). E così più stagni criticano un altro stagno. Patetico... Umano.
Poi però cambia tutto:
"E complimenti mi hai convinto che l'amore non basta e così non mi resta che lasciarti stare senza nessuno che ti giudica nessuno, intendo, che ti sgrida e si preoccupa. Sarà senz'altro tutto molto più leggero, ma sei sicuro che sia meglio per davvero?"
Qui inizia il dissenso. "L'amore non basta": se si pensa questo è fallito tutto. Dico questo pensando che amare sia qualcosa di talmente disponibile a dare e ad attendere che possa essere sufficiente. Tutto quel che serve in una relazione quando manca l'amore, parlarsi, ascoltarsi, cercarsi, scegliersi, sacrificarsi alle volte, congiungersi, etc. non è altro che ciò che l'amore ha implicito in sè. L'amore basta eccome. Il guaio è che prima o poi tutti se ne abusa in termini e si finisce col dirlo quando non è autentico. L'amore non basta quando non c'è (simultaneamente dalle due parti in causa). Diciamola tutta.
"così non mi resta che lasciarti stare senza nessuno che ti giudica nessuno, intendo, che ti sgrida e si preoccupa." Come si può non vederne la valenza? come si può protestare perché c'è chi si vuol curare di te? Almeno apprezzare, dico, dovrebbe essere il minimo. E' la parte amicale della coppia, in parte. Voler accudire, voler anche solo sapere un domani cosa capiti all'altro. Ripudiarlo è come il senso di indipendenza adolescenziale; infantile imposizione di distacco.
L'interrogativo sul "sia meglio per davvero?" lo intendo come retorico e passo subito al punto nodale
"Volevo esserti di peso, perché dipendo da te." No. No, cazzo. Mai creduto nella totale e cieca dipendenza. Sentirsi satellite ok, ma solo per reciproca attrazione gravitazionale. Così come il pesare regge solo se inteso come "far sentire la propria presenza", altrimenti non mi identifico. Non si deve pesare; è lieve il tocco di un compagno. Sempre là ma mai a gravare, a imporre scelte, a pesare.
Come nel tango: si cede il peso, si guida e si inventa ma si volteggia in coppia.
Poi, peggio ancora è il voler pesare! naaaah...
Certo, va concessa un'altra interpretazione, ove pesare non è altro che restituire la dipendenza e l'attrazioen; quanto maggiore si sente la necessità di scambio con qualcuno quanto più lo scambio viene offerto. Legge per me verificata e condivisibile, dunque. Ma non la esprimerei mai con un "esser di peso", anche se immaginando la canzone biografica è plausibile fosse l'accusa riportata per citazione. Stessa cosa per la dipendenza. Ho già scritto tempo addietro su come il dire "sei tutto il mio mondo, la mia vita" vada preso alla lontana: la vita continua, si ride si scherza si vive. Solo che non c'è l'incanto. L'amore è un incanto. Dipendere da un incanto è una malìa e come per ogni assuefazione, esiste una cura per sciogliere la dipendenza. E' bello uguale? No. Si può vivere ugualmente? certo.
Sintesi: una canzone che dovrebbe far notare le lacune altrui si dimostra spunto di profonda autoanalisi, riprova che non esiste mai una ragione univoca. Spesso non si è disposti a mediare, attendere, ascoltare in campo affettivo, mentre talvolta bisognerebbe mettersi in gioco fino all'ultimo ché farsi la doccia all'intervallo non è il caso neanche per gli infortunati. L'ideale sarebbe che non scegliesse mai un altro per noi ma che si scegliesse assieme. In due la dipendenza dovrebbe più essere un ruotarsi attorno attraendosi costantemente lasciando ai momenti difficili il compito di industriarsi, cercando e ricordandosi però che si è in due nel gioco e se uno si addentra nel bosco l'altro lo aspetta con una lanterna per indicare il cammino. Perché l'amore perfettamente ad incastro che piomba dal cielo esiste per i romanzi. Il resto, perché la vita sia un po' un telefilm, é nel lavorare perché ci assomigli.
Che poi è uno. Sono ancora a palpeggiare l'anatra: osso non saldato, osso spostato... Salderà? il mio fisico potrebbe essere una cambiale scoperta. Frattanto m'hanno inchiodato (non come Cristo in croce, ma manca ancora un po' ai 33anni) e rimesso fermo, appeso all'anatra. Tanti farmaci, le nausee, lo scoramento. Però non si può perder del tutto la speranza, che i giapponesi ai mignoli rinunciano anche volentieri per orgoglio o per errori da riparare.
Quindi provo a stringere i denti e guardare al domani. Chi vivrà vedrà, io intanto la mia indipendenza e i miei affari li lascio in sospeso fino ad agosto. Giusto perché è iniziata l'estate.
Ci sono molti modi e tempi in cui sentirsi soli e un po' sperduti, ieri me ne è capitato uno. Irrealizzato in realtà, perché a volte ci si vergogna di essere tanto patetici. Qui però posso raccontare.
Ospedale. Intervento finito. Su una barella in una stanza a guardar fuori dalla finestra intanto che ci si attrezza per sostenere in alto un braccio attacco al corpo come fosse un pezzo di qualcun'altro. Normalmente le infermiere sono oggetto di allusioni sessuali e tentativi d'abbordaggio nell'iconografia da maschio medio. Quasi tutti provano a chiedere carinerie, tastatine e affini. Almeno vorrebbero. Io, in quel letto, per come sono andati questi ultimi quaranta giorni, ho desiderato chiedere una sola cosa: una donna che si sdraiasse accanto a me e mi abbracciasse.
Questo spazio, l'avrò detto chi sa quante volte, è diletto e sfogo. Non è un lavoro e non è nemmeno una autoimposizione. Scrivo perché mi piace qualcuno possa leggere? certo; ma sostanzialmente scrivo perché mi piace.
Il blog quindi è una cosa che richiede tempo. Non tanto tempo da dedicare all'atto in se della digitazione, bensì il tempo di far affiorare il vissuto in echi ed incastri trascrivibili. Se questo spazio è una finestra sul buio della mia anima, almeno in parte, Beh! serve tempo perché possa guardarmi dentro. poi serve che gli occhi si abituino al buio. Infine devo riprendermi dallo spavento ed elaborare.
Ecco insomma perché per mesi non scrivo: non ho tempo. Devo poter stare con me per poter vedere il buono o la melma in me. Portate pazienza e tenetelo a mente.
Voglia di far niente. Dolce apatia, squallida inedia. Mi sento come svuotato, niente intorno che susciti in me il benché minimo interesse, nessuno stimolo interiore a fare. ... e mi sento un cretino a star con le mani in mano (la mano)in un momento in cui la sola cosa da fare sarebbe reagire, trovare un fottuto stimolo interno a combattere, a non mollare. nulla. resto a contemplare una parete o un monitor con interesse identico: col solo scopo di far tramontare ancora un altro giorno il sole.
Faccio troppo affidamento sul prossimo, sui sogni, sulle parole e le cose che mi piace fare mi sono precluse. Tutto si ridurrebbe al voler dare una svolta, ad afferrare il destino e modellarlo per quanto possibile verso le direzioni volute. In tutto questo io resto. Non sono cambiato poi molto da quello che ero e raccontavo coi tasti qui. Ho più consapevolezze, ho idee meno vaghe e obiettivi sfoltiti. Ma la volontà rimane la stessa di sempre: burro al sole.
Cambierà. Cambierò. Ma vorrei che "quando" fosse già ieri.
Eccomi qui. Ancora qui a riguardare dentro ancora una volta. Ammiro quasi il tempo trascorso, le trasformazioni ed il susseguirsi di cicli invece praticamente identici.
Sensazioni che una canzone mi sembra rispecchiare piuttosto bene. Certo, senza cellulite. Lei è Noemi (diritti della canzone suoi e degli aventi i diritti), voce per me molto piacevole emersa da X-factor, il titolo è "vuoto a perdere": nessuna spiegazione aggiuntiva necessaria, direi.
Anche per me i cambiamenti sono stati impercettibili: anni a sentire di aver buttato quegli anni che trascorrevano in cose insulse, di non aver vissuto. Certo, alcune barriere han fatto sì che non mi permettessi di vivere certe cose appieno. Ho seguito mille sogni ed attività appresso alla forse illusoria credenza che "se non puoi essere il migliore in un singolo campo puoi almeno riuscire ad essere poliedrico abbastanza da portare avanti più cambi, così da avere più storie da raccontare". Ho inseguito l'amore, anche. L'amore romantico della persona ideale, ma anche l'amore come principio fondante legami: amici, parenti, compagne. Ho sempre cercato di intrecciare la mia vita con chi poteva avere un ruolo in essa, anche marginale. Magari così facendo ho speso molte energie con chi non meritava e dato meno a chi invece avrebbe meritato tutto e di più. Ma oggi sono consapevole di saper provare affetto, di saperlo donare senza grandi pretese in cambio, di avere un cuore abbastanza grande da saper abbracciare parecchie persone e fronteggiare la delusione di chi quei legami non capisce o non apprezza il senso.
E' passato il tempo, mi sento ancora un vuoto a perdere: mille progetti e sogni in testa, quasi niente di concreto in mano... i capelli sono senza e la pancia è triplicata... Mi trovo spesso a pensare di aver fatto tutto questo per niente. Anche io. Sono arrivato a chi sono senza realizzarlo, trovando solo autocoscienza del punto d'arrivo e vaghi ricordi del cammino. Però credo che se sono ancora qui a non accontentarmi, a non arrendermi di diventare migliore, a non asserragliarmi dietro la facile scusa del "io sono così prendere o lasciare", forse un pochino sono divenuto chi volevo. Perlomeno non ho tradito completamente il cammino. Avrei voluto fare alcune cose diversamente? credo di sì, ma ancora mi alzo la mattina e quando mi incrocio allo specchio non provo disgusto. Non sono fiero, ma almeno riesco a guardarmi ancora negli occhi. Resto in balia di me stesso. Resta il senso di melma densa e torbida nel profondo. Resto qualcuno che non si concentra sul suo proprio colore e che gli altri si adattino. Resto un imbranato e un pessimo ascoltatore. Sono diventato misantropo e schivo, timoroso di tutto e pieno di preoccupazioni... ho perso slanci ed entusiasmi verso il quotidiano come per le novità. Il tempo ha cambiato le persone, me per primo ed una parte di me rimane un fottuto straccio liso e privo d'utilizzo per qualcuno.
Eppure c'é una parte in cui non mi ritrovo: " Ma non mi fermo più a cercare qualcosa qualche cosa di più che alla fine poi ti tocca ripagare" ... qualcosa in cui non mi do per vinto. Nonostante tutto io mi fermo ancora a cercare qualcosa, quel qualcosa che se va storta dovrai pagare un conto salato. Non ho intenzione di smettere di emozionarmi per i colori di un fiore rampicante su un muro che compare d'improvviso da un angolo. Voglio continuare a cercare e sognare. Voglio provare a non fermarmi, a ricominciare ogni volta.
Mi sento un vuoto a perdere, un fallito, un gatto randagio. A volte nelle intemperie a schivar macchine in corsa a notte fonda, talvolta nell'alto di una legnaia a graffiar chi prova a prendermi o curarmi. Sto continuando in un susseguirsi di niente in cui perdermi e sperdermi. Forse non ne uscirò mai. La sola novità è la consapevolezza di tutto questo e la volontà di andare comunque a testa alta. Non voglio pensare a un secondo tempo, a gestire il punteggio: voglio giocare divertendomi e dando tutto quel che ho, fino alla fine. Ché nessuno che assista alla partita possa mai dire che non metto l'anima in ogni palla giocata.
come sempre in questi casi prima caricare poi leggere. Einaudi è il pianista che suona la melodia che vi cullerà come vento tra le parole, spero. I diritti musicali appartngono a lui e alla sua casa discografica. Le immagini sono di chi le ha scattate.
Parole mie. Più una richiesta che una dedica forse è quel che segue, o forse solo una grande illusione o un mio stupido modo di vedere l'amore...
portami con te, nei gesti quotidiani, nelle movenze...
Scosti le coperte e scendi dal letto. Ti vedo bere il caffé e mangiare qualcosa in fretta con già il pensiero ad uscire per andare a lavoro ma lacalma del giorno che nasce e i tuoi passi cominciano danzare su esso. Movimenti via via più fluidi. Sono accanto a te mentre prendi lo spazzolino e ti lavi. Ti sorrido da un angolo, dietro una spalla, appena oltre la visuale della coda dell'occhio: angolo morto, i miei occhi traboccano affetto.
Portami con te, nei gesti quotidiani, nelle movenze...
Via verso gli impegni della giornata. La borsa a tracolla infilata quasi trafelata, che la giacca non sempre è sotto. Poi il lavoro, l'eleganza delle tue mani che s'intrecciano sicure nello scorrere delle ore. Le pause caffé, i sorrisi, le litigate e i momenti bui. Tutto si sussegue ed io con te col mento che sfiora una spalla mentre il naso spunta accanto all'orecchio. Lascia che assapori il profumo dei tuoi capelli, pensami lì e lascia che ti rallenti un istante; quasi un bimbo nell'età dei perché incuriosito anche dai gesti più elementari.
Portami con te, nei gesti quotidiani, nelle movenze...
Esci, inspiri e guardi il cielo. La stanchezza certi giorni sa farsi da parte se c'è il colore giusto lassù, magari riesci a distrarti appresso a una nuvola, un piccione che plana da un cornicione. Verso casa, verso sera, verso la frenesia del traffico per tornare alla quiete. Sono i passi al tuo fianco, ti sorrido da uno specchietto retrovisore o dal marciapiede sull'altro lato della strada. Sempre lì.
Guidami senza paura e racconta. Vivi ogni gesto e pensami, io sarò lì a guardarti ancora con orgoglio e gioia, dolcezza senza fine: "non preoccuparti, va tutto bene".
Portami con te, nei gesti quotidiani, nelle movenze...
Eccoci è sera e ancora non mi stanco di te. Mi racconti i fatti raccolti nel giorno ma io ero lì con te. Sentirli è la materializzazione visiva di quanto il mio spirito abbia supportato tutto il giorno. Semplicemente. Ancora un'altra sera ci ritroviamo. Magari distanti, solo parole tra noi. Ma il giorno non è stato vano: eravamo noi, anche nelle inezie. A noi torniamo coi nostri vissuti; in due, comunque.
Portami con te, nei gesti quotidiani, nelle movenze...
Io farò lo stesso con te. Saremo in due. Nessuno sarà solo. Mai.
Verso il niente e verso tutto. Guardo oltre le lame trasverse delle persiane il cielo quasi estivo stemperarsi in un grigiore innaturale. Oggi cade l'anniversario della strage di Capaci. Come ogni anno rifletto sugli eroi e sull'eroismo. Cosa è e dove si nasconde l'eroismo? Eroe dovrebbe essere non solo chi combatte i soprusi, ma chi mette a rischio la sua vita per qualcuno o qualcosa solo perché è giusto così, senza altri interessi.
E' eroico chi non cede alle disgrazie e trova modo di tirare avanti, facendosi anche carico della famiglia che ha creato, senza scappare; è ancor più eroico chi s'immola per ideali o per sconosciuti. Diceva sempre Faletti ma in una canzone antecedente "gli eroi son tutti morti, meno che nei discorsi". Ecco, guardo al cielo cercando di scorgere un mantello al vento o forse solamente una bandiera garrire al vento come un simbolo in cui credere e che si è orgogliosi di onorare non solo alle feste laiche comandate, ottima scusa per saltar scuola o lavoro.
In questo paese non riesco a intravedere neppure la speranza che un giorno tutto torni ad andare nel verso giusto. Non solo i pochi eroi in cui credere sono morti, ma anche l'eroismo sta svanendo. Il massimo degli esempi di virtù saran presto veline e tronisti, che almeno non sono Escort e addirittura a volte parlano (leggasi una mia personale polemica alla campagna di Ricci per eliminare ogni critico del fenomeno valletta - oca).
Non basta, "chi c'ammazza prende di più della brava gente". Ma chi è la brava gente? Chi si spacca le mani le spalle o il cervello per portare a casa due onorati euro? O ormai chi dovrebbe essere la "brava gente" che guida con un ideale e caparbietà un paese tende sempre più ad essere sovrapponibile a "chi ammazza"?
Sta venendo meno il confine tra bene e male, tra legittimo ed illegittimo. E' la desolante morte della fiducia e della speranza. Noi qui, popolo di ignavi che non desidera altro che non aver problemi e che qualcuno scelga al posto nostro purché ci lascino il nostro muro di casa intonso, a guardare il cielo grigio alla finestra. Guardiamo fuori disillusi che V for Vendetta sia solo una storia e che un finale che sovverta il Fato sia pura fantasia. Servirebbero dannatamente degli eroi qua, una volta ritrovata l'umanità.
Una lacrima per chi ha dato la vita per ricordare che non si deve smettere di lottare e sperare.
"Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola"G.Falcone
Non molti anni fa Lorenzo - Jovanotti - Cherubini scrisse una canzone a mio dire abbastanza gradevole: fango.
Ora, una riflessione che questa canzone mi ha sempre suscitato di primo acchito è questa: "Io lo so che non sono solo anche quando sono solo"??? "mi fondo con il cielo e con il fango"?? - ma quale inumana caterva di ovvietà è mai questa?!? Ovvio che la vita segue il fluire secondo il micro e macrocosmo, ovvio che tutto sia energia e divenire e, pertanto, non si sia soli! -
Questo pensavo. Poi ho realizzato che in fondo ciò che per me è scontato, come la parzile decussazione delle fibre dei nervi ottici prima di sinaptare a livello occipitale, per altri potrebbe non esserlo. Di qui ecco la stima. La capacità di trasmettere su vasta scala concetti quasi ovvi in guisa altamente comprensebile anche per chi sembra più prossimo al torsolo di mela che all'homo sapiens sapiens è virtù propria dei grandi comunicatori. Cherubini è secondo un grande comunicatore, fin che si tratta di tematiche diverse dall'amore. La capacità di raccontare la poesia di una città deserta una notte d'agosto tinta dalla nostalgia, di spiegare la relatività, spiegare l'unitarietà del globo terracqueo al di là di ogni colore o religione... nulla da eccepire, anzi, forse solo tanto da invidiare e stimare. Far capire alle persone l'importanza del sentire! magnifico! servono canzoni simili, serve non far sentire solo chi sa sentire e cerca di erudire gli altri, serve cercare di migliorare questo mondo.
Tuttavia quanto detto secondo me svanisce quanto più si incaponisce a cantare d'amore. Non saprei ipotizzare un motivo, ma ad ogni nuova canzone il livello di esemplificazione e semplificazione del sentimento scivola sempre più in qualcosa di quasi scontato, banale. Quando con "per te" era riuscito a cantare lo stupore di un padre alla figlia ero rimasto incantato. Ma quando la tematica dell'amore di coppia ha preso il sopravvento è stato un dramma. La grande semplicità con cui delinea pensieri e situazioni funziona fin che c'è da spiegare qualcosa di ostico agli altri, di distante. Quando si tratta di confrontarsi con la tematica più conosciuta (tutti o quasi almeno una volta si sono sentiti innamorati e hanno provato a esprimerlo con una poesiola o una canzone) e cantata (da lirici musici e cantori, nonché artisti d'ogni risma) la semplificazione scade nel già sentito o, peggio, nel già pensato. Finisce lo stupore, svanisce la magia.
Nonostante il mercato probabilmente richieda per radio più banalità d'amore che non pezzi che trasudino vita, mi auguro presto di poter rimanere di nuovo stupito da ritornelli come "mia madre se contasse bene i panni che ha lavato probabilmente vestirebbe il mondo" ugualmente banali, molto più potenti.
(testi e musiche dei link appartengono a chi di dovere, cioè l'autore originale; le parole scritte sono mie)
Il titolo per favore leggetelo come sull'andare della amabile canzone di Vinicio Capossela. Puramente tributo e voglia di riascoltarla. Approfittatene anche voi: a volte fa bene.
Oggi vorrei provare a fare il punto su una serie di situazioni che coinvoilgono i veterinari, nelle varie forme. La medicina ed il sovrannumero hanno fatto sì che anche in campo di animali d'affezione o meno il progresso medico divenisse disponibile. Da medico di base per più specie e polispecialista (un tempo non c'erano molti specialisti) alcuni sono divenuti esperti monotematici. Talvolta a discapito della visione d'insieme tal'altra no, ma sempre con miglioramenti nel singolo campo. Questa è fortuna, così come la disponibilità di numerosi test ed analisi per provare una diagnosi o di cure fattibili.
Sorvolando ancora per un po' sui superspecialisti, vorrei pensare al medico veterinario di base in Italia. Qui non c'è una mutua che copra gli animali. I pets sono un bene di lusso fiscalmente e pertanto se si vuole curarli ci se ne deve far carico. Il fisco aiuta poco anche per quel che si può scaricare, con tetti minimi alti e massimi decisamente bassi. Ogni analisi, o indagine, ha un costo. I medicinali poi per animali hanno un costo molto maggiore se registrati per veterinaria rispetto all'identico analogo umano (senza nemmeno mutua in ballo).
Insomma, come si fa a "fare tutto il possibile" se una TC per levarsi un dubbio costa quasi 500 euro ed il proprietario neanche può pagare la visita di base? Quasi sempre si è costretti a mediare, a restringere bene il campo e diagnosticare bene clinicamente così da poter poi mirare indagini e spese. Pochissimi sembrano quelli, tra i clienti, a capire quale sforzo enorme (umanamente) ci sia dietro. Rimuginare, analizzare, riflettere e rianalizzare ancora cercando di non scordare neppure una virgola nel ragionamento; intanto prendere già provvedimenti ed iniziare a stabilizzare... si cerca col sacrificio e sforzandosi di integrare e implementare con la propria persona quello cui per meri motivi di danaro non si può ricorrere da subito.
Questa non è un'ode e non deve minimamente far pensare che lo specialista non serva, anzi! Tuttavia vorrebbe offrire spunti di riflessione per capire che se tutti i veterinari avessero a disposizione fondi da assicurazioni e strumentazioni all'avanguardia come nei telefilm americani sui medici, sarebbero ben felici ed entusiasti di usarli. Tutto sarebbe più semplice ed immediato. Eppure ci sono figure che con poche indagini mirate e tanto impegno riescono ad ottenere risultati in tempi che a volte nemmeno in umana (per noi è normale un'aspettativa di mesi per una RX, salvo prontosoccorso, ma ci infuriamo se il veterinario non la fa espressa).
"E' facile fà Rambo co' n'arsenale... Essì Rambo co' 'na fionna e allora sì che c'hai le palle!"
Imprigionato in una caterva di pensieri e dovrei e vorrei... come se un aruspice mi frugasse le interiora in cerca di buoni auspici per il futuro. In una Sant'Elena di gesso sono il peggior compagno di solitudine da desiderare: resto immoto ad infierire su me.
Vorrei scrivere di quanto possa essere incantevole Roma passeggiandoci da soli, restando incantati ad ogni angolo se si sa guardare negli anfratti giusti; oppure vorrei raccontare di propositi o sogni. Invece no, la realtà è che mi guardo intorno e recepisco a malapena che il mondo sta andando avanti, che la vita fuori dalla finestra sta passando di tramonto in tramonto mentre son qui in attesa. In attesa di me malauguratamente! quindi ogni proposito roseo e florido di reazione si smonta al pari di chiare d'uovo montate e scordate sul tavolo, senza nemmeno il pizzico di sale.
Il mondo rotea intorno e dentro me è un soqquadro clamoroso. Io placidamente osservo dall'occhio del ciclone il caos in divenire.
Per una volta cerco davvero di pensare solo a essere felice, la lezione migliore da imparare da certi eventi. Una delle più difficili tuttavia. Per chi come me forse vuole più credere che ci sia un domani felice piuttosto che afferrarlo davvero, alla fine potrebbe trattarsi prevalentemente di determinazione. In questo sono notoriamente carente. Per giunta per affacciarmi nel domani forse dovrei avere chiaro tutto quello che sono; questo periodo era divenuto stabile ma di per sé è un pieno divenire della mia storia.
Come uscire da un turbine? Dovrei aspettare che passi? o dovrei abbandonarmi al fluire dell'aria? Barricarmi? nemmeno! Forse la cosa più tipica di me sarebbe fare come ho sempre fatto col mare mosso di estate in estate, di anno in anno: affrontare la corrente; farsi trasportare nei momenti giusti, assecondandola un po' per caricare lo slancio e da lì piantare i piedi saldamente a terra e avanzare. Cercare la mia via anche nell'intemperie. Beh! onestamente allora farei proprio bene a cercare un mio colore, o cercare i miei colori per tingere il mondo degli altri, per chi vorrà farselo tingere. Talvolta per scoprirsi felici bisognerebbe solo accettare di essere chi si è, capendo che tra chi ha solo il suo colore, chi s'è rassegnato alla sua scala di grigi, chi si fa tingere dei colori altrui perché non vuole pensare ai propri... alcuni potrebbero non andare d'accordo con chi tende maggiormente ad essere una tavolozza di colori. Alcune persone devono colorarsi il mondo, illudersi e sognare. Per chi non rassegnarsi alla merda quotidiana della vita è un modo naturale di vivere, vedere ciò che non è guardando oltre alla sola realtà è come respirare. E' come una battaglia privata, resistenza passiva a oltranza alla grande beffa. Un sognatore non dovrebbe mai desiderare di cessare di esserlo. E' un ruolo difficile ma anche una parte bellissima, quella di chi non si rassegna. Non si piacerà a tutti e non sempre si sarà felici.
Ma il momento per colorare il vortice dell'arcobaleno e renderlo un incanto fiorito arriva per tutti. Talvolta il modo migliore per capire quando sia il momento di farlo è capire che vicino ci sono persone che apprezzano i colori che usi ed altre che sanno insegnarti una pennellata diversa, infine a saper guardare bene c'è anche chi ha una tavolozza coi colori che mancano a te e sa suggerire tele da tingere assieme... tutto sta nel capirlo. E se il modo avrà fatto soffrire essere felici sarà la sola risposta. Salvo rari casi non esistono colori sbagliati, ma solo individui non ancora pronti a prenderne coscienza.
Vado a cercare un pennello.
PS: post scritto evidentemente in due momenti della giornata, come il marcato stacco triste\ottimista dimostra (e ribadisce la mia sindrome bipolare)
Quasi tutte nel corso di una vita finiscono. Per i più fortunati, sentimen talmente parlando, l'ultima finirà per causa naturale temporale.
Ci sono storie che non dovrebbero iniziare, altre il cui vero tempo di vita sono sei ore. Ci sono storie che stentano per mesi o anni, senza il coraggio di chiuderle o per l'imprudenza di tenere la porta sempre socchiusa. Certe storie finiscono tragicamente, tra ferite e insofferenza. Altre storie finiscono bruscamente e senza volontà, e sono quell che più straziano forse. Alcune storie poi finiscono quando si ha ancora la sensazione che il meglio abbia ancora da venire.
E poi ci sono storie in cui il meglio non arriva, perché ogni giorno è reso migliore ed il meglio è la visione d'insieme, quando scorri la pellicola e tra lacrime e sussulti sorridi di cuore. Ecco, se non potete tenervela stretta, almeno siate grati a quella relazione e fin che invece non ne avete vissuta una così non sentitevi appagati.
A volte si può scoprire che invece di un incendio dilagante non si desidera altro che un fuoco da accudire in due che ci scaldi per l'eternità; in fondo basterà qualche sforzo per aggiungere legna per far divampare e crescere più brillante la fiamma!
Potrebbe trattarsi del nuovo gioco dell'estate. Potrebbe essere un racconto etologico - veterinario. Oppure potrei star facendo riferimento a quando Benigni cercava di offrire il suo "sventrapapere" alla Carrà. Potrebbe invece esser ricercato riferimento Sardelliano (cfr. F. M. Sardelli, eminentissimo direttore di orchestra barocca et specialista riguardo Vivaldi, nonché sensibilizzatore myrabile verso le coscienze civili tramite il Sodalizio Mvschiato, ed ancora ameno disegnatore e scrittore per il Vernacoliere) all'asta virile, che appunto il Sardelli ama definire "collo di papero", con connotazione onanistica.
Nulla, macché, niente di tutto questo. La papera in questione è un fermaporte imbottito collocato di norma nei pressi, ma tu guarda, della mia stanza. Senza occhi ne bocca o zampe ed il solo colore di federa da cuscini, povera, ha però un elegantissimo collarino rosso, nota distintiva dei volatili dabbene nell'alta società. Qui allo charme non si rinuncia. L'atto del "toccare" è qui invece scevro da ogni morbosità e fa riferimento alla mia condizione attuale di mano dx rotta ed ingessata.
Ora una piccola digressione sul gesso per aiutare a capire meglio la postura: avendo subito una frattura scomposta del V metacarpeo Dx, l'osso retrostante al mignolo nel palmo della mano per capirci, con riduzione per ora non invasiva, mi hanno ingessato in maniera particolare, "ulnata". Ovvero il polso e l'avambraccio sono ruotati verso l'interno come fossi appoggiato costantemente al manubrio di una mountain bike. Insomma il piatto della mano non tocca mai coscia o anca, lo fa il pollice.
Stare a letto è una mezza tortura: il pollice si incastra nelle lenzuola, per scrivere o poggiare una mano a un tavolo devo star curvo e inclinato come "aIgor". Fra un po' x scrivere mi diranno "si aiuti con questo" porgendo una matita per l'occasione simile al "lungoarnese" di futuramiana memoria. Non solo. A letto e in genere da ingessati vale l'assioma del "lo tenga in alto!!". Sempre fraintendibile e a doppio senso, che dal bonario augurio di virile baldanza sfocia in un mero gesso dolente sollevato verso l'alto tramite fasce, cuscini, cappotti, bretelle ed ammenicoli vari presi in prestito dalla loro vera destinazione d'uso.
Con la mano testé descritta, capite bene che un banale cuscino sarebbe valso a ben poco per la sua scarsa prestanza curvilinea; l'appoggio al collo sarebbe risultato fastidioso e dolente agliatti inspiratori, nonchè soggetto a pericolo cadute con rinnovo algico. Dinanzi a cotanta disperazione ed aguzzando l'ingegno qual miglior poggia gesso d'un simulacro d'anatide, stabile sul fondo e ricurvo sul dorso ma con l'intersezione per il pollice??
Ecco dunque l'attività del mese: touch the duck! Così da poter trovare confortevole sostegno abbinato a postura con inclinazione all'alto. Senza scordar il buon gusto, che c'è anche il papillon!
E' stato un mio problema negli ultimi anni. Ultimi: se un terzo del vissuto vale come "ultimi" come fosse poca cosa, allora Sì, ultimi anni.
I motivi, le scuse, possono essere davvero disparati. La validità sta all'uditore - lettore ed al protagonista. Fidanzate gelose e possessive che hanno limitato le possibilità d'interazione facendo leva su senso di colpa ed amore (quando ancora non avevo del tutto chiaro chi davvero volessi al fianco); esperienze luttuose da adolescente e poi più tardi; una professione ed interessi specifici in essa che portano alla freddezza e al distacco; una tendenza innata a volte al misantropismo; il senso di inadeguatezza; la pratica della scherma, alla ricerca vana della lucidità sotto adrenalina; le grandi insoddisfazioni ed i mille pensieri da cui non so staccare la spina; molte, moltissime altre situazioni e persone potrei tirare in ballo.
Credo che, se non tutte, almeno alcune siano qualcosa di più che scuse poiché ferite profonde rimediate in un vissuto autentico. Pochi ne conoscono i risvolti appieno perché ognuna è conservata nella memoria in scatoloni identici e privi di numero in una sorta di hangar dell'area51 mentale.
Di certo però ho la colpa di essermici adagiato. Ho usato validi motivi per poi non cercare di recuperare. Avevo postato zeta reticoli tempo fa con la convinzione che prima o poi con lo slancio serbato avrei spiccato un salto tanto ampio da sembrare un volo. Non è andata proprio così. tutt'ora è raro riesca davvero a lasciarmi andare: ogni tanto la mia attenzione crolla drammaticamente, talvolta sono ipervigile e guardingo, talvolta mi assorgo nel flusso della mia fantasia. Risvolto drammatico è il non godere, perdersi momenti, emozioni condivise, persone. In questi giorni ne ho dovuto prendere atto. Drammaticamente.
Ho motivazioni scientifiche anche per spiegare razionalmente questi cali di tensione, queste voragini mnemoniche e d'interazione. Serve a poco perdercisi attorno però. Il fulcro (intanto io leggerei ascoltando questa melodia triste *) è che mi sono lasciato scivolare tra le dita istanti preziosi ed un domani mancheranno all'appello tanti possibili sorrisi non vissuti. E' una grande ammissione di fallimento. Ho scritto spesso a tal proposito, segno evidente di una coscienza del problema. Però la volontà di modificare tutto questo non è mai stata messa in pratica. Complici le tante cose ancora da concludere, in vergognoso ritardo, mi sono autoescluso dalla vita. Cretino, infinitamente cretino. Anche saggio tuttavia: chi mette il cuore nelle relazioni interpersonali ogni volta che può si espone a ferite che a volte neanche si rimarginano. Nel tempo acquisire palizzate e difese è più istinto di sopravvivenza che volontarietà. La mia è diventata un restare guardingo, cosa forse non troppo inimmaginabile per chi s'è tante volte sentito un gatto randagio. Anche facendo le fusa le orecchie restan tese ed i muscoli nevrili, pronti.
(cambiamo toni) Non so quanto queste confessioni portino a qualcosa. Di certo in me qualcosa sta ancora mutando e il rimpianto degli anni persi si sta trasformando in voglia di afferrare di nuovo il mio tempo, i miei giorni, godendoli appieno o per lo meno godendoli.
Nell'ultimo anno e mezzo ho attraversato fasi distanti tra loro ma entrambe formative: dall'abbandono inerte della depressione alle mille attività con cui ne sono un po' uscito; un nuovo, vecchio, luogo; progetti e voglia di fare anche se altalenante, data l'ingenza della carne messa sulla graticola. Sono rimasto in dietro. Innegabile. Eppure di cose ne ho fatte ed anche se talvolta mi estraneo e non vivo, di individui, momenti, ne ho vissuti eccome. Non credo sia un peccato tanto grave essermi difeso un po'... in fondo anche molti combattenti restan con la guardia alta anche a misura di sicurezza. Per altro, ho appena trent'anni. Se per molti sono una soglia da varcare mettendo giù piani e progetti per il domani, cosa che per certi versi condivido ed invidio, credo che non sia così deprecabile essere, o almeno sentirsi, un individuo totipotente ed in divenire. Sto cominciando ora ad incarnare l'uomo che vedevo in sogni dal divenire. Forse non esattamente lo stesso, ma certamente sto mutando; pian piano. Non credo non vivrò più le cose. Penso piuttosto che per potermi lasciare andare a vivere momenti miei e di svago fosse prima necessario mi dimostrassi di essere davvero in grado di gestire e riuscire in quello che un domani sarà il mio quotidiano, la mia vita, gli impegni, il "devo".
Forse per riprendere a vivere serviva qualcuno che me lo facesse notare e serve qualcuno che abbia la pazienza di vedere che uomo diverrò e la voglia di contagiarmi, di prendermi la zampa senza farmi tendere (resto un gattaccio bastardo, diamine!) e farmi riscoprire quante cose ci siano da vivere oltre a quelle da cui ogni tanto mi lascio incantare per poi raccontarle in emozioni e sorrisi a chi con me ha gioia nel dividere schegge d'anima. Magari ho perso il tempo per molti salti, abbandonandomi ad osservare il paesaggio dal dirupo a picco. Ma un giorno anche io fenderò il vento con le dita e il viso, da uomo. Divenuto. Brindando verso l'orizzonte a chi mi avrà voluto e saputo aspettare e si troverà a volteggiare con me nel domani.
PS: se controllate dicembre 2010 nei prossimi giorni troverete a pubblicazione posticipata i racconti di un viaggio e di un vissuto per me molto importanti, eventualmente, buona lettura!
* nota: in alternativa guardate questa versione in cui vi supplico di apprezzare gli arbre magique aggiunti digitalmente che frantumano la drammaticità del pezzo suscitando ylarità smodata
Oggi, con così tanto tempo a disposizione per guardarmi l'ombelico, ho pensato ad altro. Rifletto molto su come una coppia funzioni: minuscole intese che son come ingranaggi di un mastodontico orologio...
La cosa che mi chiedo è: è necessario che siano complicità innate, modi perfettamente incastrabili da subito, oppure è frutto di cesello, pazienza???
Dopo così tanti anni a cercar di vivere ogni sentimento, di rinunciare in alcuni casi all'orgoglio e arrivare allo sfinimento della storia o di scelte mature volte a preservare persone e curarle, penso di poter dire d'essermi fatto un'idea.
Complici bisogna esserlo. Sentirsi coppia è fattore fondamentale per stare assieme; "esser in due a combattere mano nella mano tra il vento avverso e i timori e le difficoltà, in due" mi disse anni addietro una persona ancora oggi importante e dolcemente ricordata. Concordo e condivido. Bisogna scegliersi ogni giorno. Ma gli incastri, la comprensione, le scelte, l'intuire i bisogni dell'altro... quelle non sono frutto dell'empatia o del compagno da sogno e miracoloso. Se capita di trovare chi faccia la cosa giusta all'inizio è fortuna, caso fortuito e forse non è nemmeno il massimo desiderabile per me. Sto cominciando a capire che chi apprezzo di più è chi si sforza ogni giorno di conoscere chi ha accanto. Scoprire da racconti sorrisi e malumori anche quotidiani cosa sia a perturbare l'anima dell'individuo che scegliamo per compagno. L'intesa si costruisce. Se non dovesse andare si potrebbe sempre dire di aver provato ed in tal caso si sarebbe conosciuta a fondo una persona. Se si crede in un "noi" forse si dovrebbe aver la pazienza di scoprirsi poco alla volta, stringendo i denti nei momenti "No" e cercando di capire perché siano tali; come sarebbero se non ci fossimo noi a renderli tollerabili anziché frustranti. Abbiamo davvero la certezza che a volte un partner stanco e scontroso lo sia per colpa nostra e che non sarebbe invece di umore peggiore senza noi??? Non credo. Non se non dopo anni e anni. Non basta un'infatuazione per farsi capire da un altra persona, talvolta non bastano mesi e neppure anni.
Serve ascoltare. Con voglia. E volontà di darsi, anche. Senza pretese, senza aspettative: amare come gioia di dare; amare come bramosia di conoscenza. Allora si può giungere ad intese e sfumature in cui può bastare uno strumento suonato o un gesto da niente per risollevare il morale.
Non basterebbe aver visto in due una puntata di Big Bang Theory per sapere cosa cantare in un ospedale per strappare un sorriso e rendere serena una persona, servirebbe aver compreso la valenza di "soft kitty" per il partner, aver inteso o conosciuto la reciproca solitudine.
Auguro a chiunque legga di incontrare una persona che abbia la voglia più bella da desiderare: la voglia di aspettare i momenti per raccontarsi e la voglia di sentire quei momenti. Buone intese a tutti voi. Abbiate cura di chi vi è accanto e ascoltatelo quando ne avrete occasione. Quando sembrerà non funzionare aspettate che passi e pian piano indagate, cercando di aiutare. Se è amore davvero si confiderà e aspetterà i vostri tempi se davvero amate capirete e tutto troverà opzioni risolutive. Allora e solo allora avrete costruito un'intesa: superando e resistendo alle intemperie della vita, senza accuse. Buoni sogni d'amore!!!!
Ecco ancora un po' di buoni consigli. (ovviamente i diritti di musiche e video sono di chi originariamente li detiene; le parole sono mie)
nota: Il monologo è in italiano perché molto più d'impatto che non in originale (IMHO)
Un ultimo consiglio: se vi servirà prendete tempo, ma non siate mai frettolosi né crudeli a concludere una storia d'amore, le sensazioni più belle potrebbero essere quelle ancora da venire.